LA PAROLA gli esce di bocca ammaccata, come lamiera di auto che bacia un guardrail. E canta con sussulti, litanie, mezze mosse ritmate. La canzone napoletana con Canio Loguercio si trasforma, trasfigura. Tossisce, s’inquarta, erutta in una melodia di rara raffinatezza. Loguercio non è noto al grande pubblico, ma la sua chitarra e l’organetto con il quale Alessandro D’Alessandro lo accompagna compongono come nell’ultimo cofanetto (Canti Ballate e ipocondrie d’ammore) melodie originali, uniche, così spiazzanti da potersi definire insieme poetiche e triviali. I suoi li chiama “concertini d’ammore”, e sono fantastiche cantilene, misurate ninnananne, o anche rabbiose invocazioni all’amore conquistato o perduto. Canio canta una vita viva, ma feroce e una ipocondria permanente, l’ombra che ogni giorno ti insegue e ti stranisce. La sua musica è teatro, non soltanto melodia. Canio Loguercio canta il Sud che non affaccia sul mare, quel Sud che parte da Napoli e sbuca tra le montagne lucane, conosce i tratturi, le stradine della transumanza, il pianoro pugliese. È il Meridione interno, perduto tra i monti, dove i paesi boccheggiano. Loguercio è cantore di rara raffinatezza, i suoi concertini sono perle preziose che bisogna ogni volta saper cercare e poi assaggiare. Lentamente, come fosse vino d’annata.