Studiosa dell’antropologia politica e delle dinamiche sociali del potere, Elena Pulcini ha in dote il destino di vivere a Firenze. “La Toscana è più provinciale di quel che ci si aspetterebbe e incistata di un clientelismo reticolare”.
La vicenda del babbo Renzi e di amici, figlioli e padri che scambiano poltrone e posizioni è il ritratto familiare, sembra quasi l’Italietta degli anni Settanta. Per un verso mi fa ricordare Amici miei.
E anche nel film la Toscana aveva una parte. Io però vedo un passaggio in più, un limite che la politica ha ormai oltrepassato, e qui non sto giudicando la vicenda Renzi che non conosco ma un contesto pulviscolare, questa nebbiolina fitta di malaffare.
Il limite superato, diceva.
Ecco: il pudore, la vergogna. Non è bastata Mani Pulite, non sono bastati gli arresti, non è bastata alcuna misura per rinunciare all’idea che il potere tutto può. E se ieri si nascondeva, si imbarazzava, gridava bugiardamente al complotto, oggi non porta nemmeno la pena di coprire la malefatta. È un potere disinibito e vorace, persino ingenuo nella propria dimensione. E lega familisticamente il destino.
Il legislatore ha prodotto un nuovo reato per allinearsi al nuovo mondo: traffico di influenze.
Due parole illuminanti. L’influenza, che in sé non ha alcun giudizio negativo, in questo contesto è l’arma dispiegata dal potere perché in ragione della propria forza possa acquisirne di altro, in territori non suoi ma contigui. Il potere è per definizione influente. E poi la parola traffico: si usa per la droga, per la mafia. Associato a influenza fa pensare a questo andirivieni di favori e richieste, azioni e dazioni. Siamo lontani anni luce all’Italietta, al neorealismo cinematografico.
È un potere insieme nazionale e territoriale. La vigilessa che viene portata a Palazzo Chigi, l’avvocatessa condotta a riformare la Costituzione, l’amico che si dà da fare, così sembrerebbe, per conquistare l’appalto. Si è detto di Renzi: veloce, furbo, scaltro. Eppure…
Se ti fai trascinare da altri sentimenti, tipo l’avidità, ne rimani soggiogato. Parlo naturalmente in generale: ma ciò che più mi colpisce, penso all’inchiesta sui consiglieri regionali del Lazio, o a Mafia Capitale, è la assoluta assenza di pudore. Così il potente sviluppa l’idea che si possa vivere in modo incivile, si possa avere atteggiamenti che un minimo senso del limite si riterrebbero pregiudizievoli. L’ostentazione assorbe la furbizia, la devianza prevarica sulla misura. Com’è possibile che chi gode di privilegi già piuttosto ampi, possiede belle case, conduce una vita senza preoccupazioni ed esercita il potere non si preoccupi di comprendere perché il proprio status, già così diverso dalla condizione generale, non lo soddisfi.
Forse perché il potere non basta mai, non è una misura assoluta.
Ma la deturpazione civile è terribile! Quale fiducia puoi più avere nei partiti, con quale animo ti disponi all’impegno nella gestione della cosa pubblica? Quale interesse e passione conduci in cabina elettorale?
Lei che dice?
Io dico che non voterò. Non ci riesco proprio in queste condizioni.
Da: Il Fatto Quotidiano, 4 marzo 2017