Hanno deciso di sfidare il centro di gravità permanente della loro vita: il Web. Siamo al quarto mese e i duecento e passa ragazzi romani che danno vita a Scomodo devono prepararsi a chiudere in tipografia il quinto numero del loro mensile. Sono diciottenni romani, alcuni per la verità hanno da poco superato la boa dei quindici anni, altri (pochi) hanno oltrepassato il limite dei venti, a dare vita alla più plateale forma di restaurazione della trasmissione della notizia e dell’approfondimento: la carta.
“La carta ti fa leggere piano, ti fa capire di più, ti aiuta ad analizzare i fatti, a entrare nella carne viva dei problemi”.
Adriano Cava è iscritto al primo anno di Filosofia alla Sapienza e dirige una redazione che è una città aperta.
Studenti, essenzialmente liceali, di varie scuole di Roma. Succede tutto per caso, alla nostra età c’è poco di programmato. Ci diciamo: vogliamo provare a fare un giornale come Dio comanda?
Ma l’industria della carta è in crisi, i giornali perdono lettori perché la Rete li trasforma in utenti. Le edicole chiudono. E voi, nativi digitali…
Ma tu dove mi hai trovato?
Su Facebook.
Mica puoi pensare che noi viviamo in un altro mondo? Siamo in Rete, sempre connessi. Lo smartphone in tasca è il segno del nostro tempo. Non scambiare il nostro progetto per una restaurazione. Semplicemente ci siamo accorti che il Web ci bombarda di notizie fino a sommergerci.
Il rullo compressore.
Gossip e attualità, baci appassionati e morti disgraziate. Video, clip su Facebook, smile, commenti leggeri, tragedie, pianti. Tutto insieme, tutto in un minuto. Il rullo quotidiano delle news, o anche dei gruppi, delle chat, è una esplosione continua di sentimenti e situazioni. Ora vedi un video di morte da Aleppo ora una festa di compleanno della tua amica. La realtà così sovrapposta semplicemente evapora. Diviene nuvola in cielo.
Un sistema che ti comprime e un po’ ti pialla, vuoi dire questo?
Un sistema che non ti dà il tempo di capire e di pensare. Di approfondire i temi, di raccogliere un punto di vista diverso.
Nella tua casa sono mai entrati i giornali? I tuoi genitori leggono?
Direi di sì. Ho visto più periodici che quotidiani. A casa mia c’era Micromega, poi Internazionale.
Scrivere costa più fatica che mandare un sms su WhatsApp, o twittare, oppure postare la foto del cane su Facebook, il bacio con la tua ragazza su Instagram.
Scrivere su carta può essere bello. Ma soprattutto leggere. La carta ti impone tempo, devi prendere tempo per leggere un articolo.
Temevo dicessi: devi perdere tempo.
No, parlo della lettura lenta.
Digerita bene.
È bello capire, no? Comprendere un fenomeno, una situazione. Noi ospitiamo contributi di esperti.
Quanti siete a scrivere?
Molte decine, siamo tanti, la redazione si allarga sempre di più.
Quante pagine avete?
52 pagine e tiriamo 7.500 copie.
Le vendete?
No, le distribuiamo gratuitamente.
E come vi finanziate?
Con degli eventi in città. Facciamo le ‘Notti Scomode’. Andiamo in un luogo abbandonato e lo facciamo rivivere. Dimostriamo cosa si può tirar fuori dal peggio. Le nostre feste sono molto partecipate e in qualche modo sono state redditizie.
Le vostre copertine sono di grandi disegnatori: Altan, Vauro, Zerocalcare. State avendo successo, vi chiamano in tv, alla radio.
Sì, questa cosa della carta colpisce un casino.
È un piccolo mondo antico che ritorna.
La carta era lo spazio dove scrive chi non ha la nostra età.
Scriviamo noi grandi?
Certo, nessun diciottenne trova utile leggere un giornale.
Tu pensi perché noi giornalisti non lo scriviamo anche per voi.
Io penso di sì. Altrimenti il successo di questa iniziativa come lo spieghi?
Forse hai ragione.
Distribuiremo il nostro mensile in tutta Italia.
Sempre gratis?
No, abbiamo dei punti di vendita.
La tiratura aumenta?
Pensiamo e speriamo di raggiungere presto le diecimila copie.
Che bello.
Che bello sì.
da: Il Fatto Quotidiano, 4 febbraio 2017