La montagna non è un muro e le vie di fuga sono infinite, le brecce e i trapassi da un pendio all’altro rendono i confini di carta e il viaggio una promessa mantenuta. La migrazione per Erri De Luca è decisione insieme dolorosa e mirabile, la vita che acchiappa la vita anzi la rincorre e la cerca ovunque finché la trova e le pagine di questo suo ultimo libro sovrappongono il viaggio fisico, il dolore e la necessità di fuggire perché l’acqua è più sicura persino della terra, a un altro metaforico che è l’approdo fantastico, i luoghi della mente dove l’arte ci conduce.
DE LUCA riunisce nella sua La Natura Esposta (Feltrinelli) i propri antichi interessi culturali (lo studio delle scritture sacre, il senso del Crocifisso) e quelli più propriamente politici (l’esodo dal sud al nord del mondo, la povertà che rincorre e mai trova la pace e la ricchezza, la guerra che insegue i nostri giorni e ci porta paura). Lo fa attraverso l’esperienza e la vita di uno scultore montanaro chiamato dapprima a condurre verso la salvezza corpi spaventati e indifesi e poi, per incarico di un prete, a restaurare una statua di marmo, toglierle il panno – pietoso senso del pudore – e riportarla alla nudità senza compromettere la forza divina, il senso religioso di quel gesto.
Corpi di carne e corpo di marmo. I primi che assediano la montagna e la superano, il secondo che giace inerme eppure dà ansia, suggestione, persino erotica, a chi è chiamato a denudarlo.
De Luca attraverso lo scultore sceglie i luoghi preferiti della sua vita, racconta la roccia, le sue montagne e il mare di Napoli, i bastioni di Sant’Elmo, i marmi del museo Archeologico, piazza Garibaldi.
E IL ROMANZO (o racconto) diviene un percorso ipnotico, anche erotico, naturalmente teologico. Si è scritto intorno a questo libro di un incarto, a volte non riuscito, tra una storia e l’altra, una narrazione e l’altra. Come se i due mondi, montagna e mare, le Alpi e Napoli, il sacro e invece il terreno fossero parole inedite dell’autore, ospitate per rendere ancora più ricco, forse perfino troppo, il piatto della lettura e della immaginazione.
Ma De Luca non fa mistero dei suoi gusti, delle attenzioni, degli interessi anche politici che rendono vitale la sua prova narrativa e assolutamente inarrivabile quando, come sa, racconta i luoghi della sua vita, l’amore per la pietra nuda, per gli spazi larghi, e la cura, la curiosità per ciò che la mano dell’uomo riesce a fare, il miracolo dell’arte. L’arte – dice – regala esperienze uniche, “fa raggiungere al corpo traguardi” impensabili.
La Natura Esposta è compendio delle nostre fantasticherie, della fragilità umana e della propria maestosa sapienza. La statua è viva, corpo che si modella anche se è fatto di pietra.
L’ARTE e la religione, la genuflessione al divino e la forza erotica della sua rappresentazione grazie allo scalpello di un restauratore. E quei migranti che allagano l’Occidente con i loro corpi, però miserabili e perduti, sono anch’essi figli della stessa mano, dello stesso scalpello, dello stesso mondo.
Da: Il Fatto Quotidiano, 9 novembre 2016