Più dell’etica conta l’estetica. Anche il terremoto ha un suo rito e quando il canone non è completamente scritto secondo le regole accade che la tragedia venga ridotta di scala. L’altra sera non c’era nessun volontario a svuotare i pochi camion con i pochi primi generi di necessità tra Alba Adriatica e Porto Sant’Elpidio. Maglie, maglioni, mutande, detersivi giunti invece in una misura così sterminata ad Amatrice nelle prime ore del 31 agosto e poi nelle lunghe giornate di settembre da far dire alla Protezione civile di fermare gli aiuti e raccomandare agli italiani di non mettersi in cammino senza essere autorizzati. I soccorsi erano in misura più che sufficiente da non richiedere altre mani e gli aiuti materiali così eccessivi che qualche giorno fa il sindaco Sergio Pirozzi spiegava ai suoi concittadini: “È giusto che tutta quella roba che abbiamo ricevuto e non ci serve la inviamo ai poveretti dell’Asia, dell’Africa, a quelli che soffrono”.
OGGI NON CI sono colonne alle porte di Norcia, i soccorsi fanno fatica a coprire tutta l’area del sisma, che è più vasta di quel che si sperava, gli sms con i 2 euro indirizzati alla Protezione civile languono, le donazioni private pure, di italiani in cammino volontariamente verso quelle zone non c’è traccia, ma soprattutto la copertura mediatica che il martirio di Amatrice produsse sta già per finire. Non ci sono morti da piangere, feriti da salvare, pietre da spalare, eroi di cui parlare. Dobbiamo dircelo: il terremoto senza morti è già un altro terremoto. Il dolore per le vite perdute spinge a una vicinanza e solidarietà improponibili nei luoghi in cui per fortuna si contano solo danni materiali. È del tutto naturale che sia così. Meno però che l’emozione per il terremoto che causa morti sviluppi – a parità di danni – una misura di assistenza e di aiuto economico differente da quella dove il lutto non c’è stato. A San Giuliano di Puglia, 27 bambini e le loro insegnanti perirono per l’incoscienza dell’amministrazione comunale che autorizzò una soprelevazione dell’edificio senza nessuna cura per la staticità dello stesso. Il paese nella sostanza resse, si sbriciolò solo quella scuola. E quei bimbi innocenti sotterrati dalla irresponsabilità pubblica, divennero titolo perché il Comune fosse inondato da soldi. Andate oggi e vedete: una comunità gonfiata dai denari, case enormi e vuote, luogo eletto alla speculazione edilizia. E il sisma che colpì il 1997 Colfiorito, ancora Umbria, chi lo ricorda più? E quanto dibattito c’è stato sulla condizione abitativa di Amatrice che ha subìto dalla inettitudine dei suoi amministratori, recenti e passati, il conto di un disastro in vite umane senza pari?
CERTO, LE CARTE sono in Procura e vedremo cosa si farà. Poi nulla. Le morti, e l’emozione che ne è seguita, hanno autorizzato a prevedere per quei comuni provvidenze altissime e sistemazioni mai viste prima. Lo chalet, la casetta provvisoria di altissima qualità e altissimo costo. Dei containers neanche a parlarne. Sono brutti, terribili, impossibili da vivere. Anche qui, diciamocelo francamente, ha contato più che la funzionalità, il risparmio di tempo, di denaro e di consumo del suolo, l’estetica. Perché quei moduli non sono più le celle frigorifere conosciute ai tempi dell’Irpinia. Sono ricoveri dignitosi, dotati di comfort essenziali, utilizzati dalle grandi imprese di costruzioni stradali per i propri dipendenti per lavori che sono durati anche anni. Il container era parola proibita ad Amatrice che ha chiamato Stefano Boeri, un archistar, a dare rigore urbanistico persino all’insediamento provvisorio. Compare adesso a Norcia e dintorni, improvvisamente diviene sistemazione utile e necessaria per non svuotare i paesi. Di nuovo è ancora la prova che l’estetica del terremoto vince sull’etica.
Da: Il Fatto Quotidiano, 4 novembre 2016