La piazza dell’orgoglio cinquestelle diviene insieme la piazza del perdono e anche delle scuse. Davanti al porto di Nettuno, nella città appena conquistata dal Movimento, Beppe Grillo conduce il direttorio a sfilare, spiegare, scusarsi e naturalmente attaccare.
È INTESTATA a Maria Goretti, la santa del perdono, la piazza che si affolla di militanti convocati all’ultima ora possibile per il grande e imprevisto appuntamento con la storia. Viene Beppe Grillo e porta per mano i membri del direttorio, i loro vice, i graduati e i peones romani sul palco. “Qualche cazzata l’abbiamo fatta, diciamo qualche cazzatina”. Nel tuono di un eloquio notevolmente arrembante, teatrale, dove ricompare un vaffanculo, e la parola “ladri di verità”, nel comizio che si chiuderà poi al sempiterno grido di “onestà onestà”, quella frase, la cazzata cioè fatta, anzi più d’una, è il sigillo dell’errore commesso, della catena di comando spezzata, della confusione e dell’ambiguità dentro la quale il Campidoglio sta vivendo giorni di sofferenza e anche di umiliazione. Ed è stata certamente dura per Luigi Di Maio, il leader in pectore, il premier in arrivo, dover ammettere un grave errore di valutazione, il primo vero colpo a una carriera finora condita dagli applausi. “Dovete sapere che ho pensato che l’iscrizione venisse da un esposto di uno del Pd. Ho commesso un errore, ho sottovalutato che quell’iscrizione venisse da uno del Pd. E non l’ho detto ai miei colleghi del Direttorio. Non l’ho detto a Roberto, Carlo, Alessandro e Carla e sono qui a guardarvi negli occhi e a dirvelo”.
ERA COME se una pinza gli cavasse di bocca i nomi e la corsa a chiudere il periodo, a terminare la frase è stata equivalente alla durezza con la quale Roberto Fico ha spiegato, sempre sul filo della metafora, che l’imborghesimento, “il rischio della giacca e della cravatta”, la nuova realtà di entrare a Palazzo, possedere un potere mai visto e nemmeno immaginato, abbia potuto far deviare dalla retta via. “No i siamo il nuovo umanesimo e non è possibile chiudere una Utopia in una gabbia”, ha detto raccogliendo grida di ammirazione. Quale è la gabbia dorata? Certamente il Parlamento, e naturalmente il Campidoglio dove i poteri (i poteri forti) le pressioni, le ambizioni e anche le devianze di qualcuno hanno fatto sì che si parlasse “solo di sms, con tutto quel che ci sta di fronte, che sta succedendo”. Nella gerarchia odierna Di Maio scende uno scalino, uno ne sale Fico, due invece Di Battista. Al quale Grillo dona una standing ovation “per i cinquemila chilometri che si è fatto”. È Di Battista a concludere la serata, alleggerendo il peso dell’errore e della bugia in un discorso molto aggressivo: “Ma li vedete? Ma avete capito chi sono? Ma vi hanno detto cosa sta succedendo in Italia, vogliono cambiare i diritti in bonus, chiudere gli ospedali, e cambiare la Costituzione in fretta perché sanno che stiamo arrivando noi. Noi siamo la polizia, loro i ladri”.
CON VIRGINIA RAGGI chiusa nel suo studio, che arretra il minimo, che mantiene la Muraro al suo posto, che non cede e almeno per oggi parla solo via video, Beppe Grillo decide di stabilizzare la situazione. Rianimandola a suo modo: “È la superfetazione della merda”. Non esiste scandalo, non esiste menzogna, e non esistono veleni, distinguo, crisi o inimicizie. Sul punto, un Di Battista combattente: “Pensate che hanno già scordato il terremoto”, per fare la festa a Virginia. Di Maio, più conciso, modesto, sfuggente, non ha rinunziato al suo pride: siamo quelli che conoscete, siamo come voi ci avete fatti, visti, mandati avanti. Piazza piena ma non strapiena, piazza plaudente, pochi dubbi. La barista: “A me sembra una grande fandonia questa crisi de Roma. E vorrei vede’”. Il parcheggiatore, più negativo: “Se stanno a scanna’”. Un gruppo venuto dai Castelli: “Dovemo capì bene che sta a succede”. Poi applausi, incitamenti, urla di bis. “Vogliamo le elezioni”, il grande striscione bianco. E Grillo: “Ma avete capito che la Raggi è come il primo sindaco nero in America?”.
Da: Il Fatto Quotidiano, 8 settembre 2016