Con il terremoto dell’Irpinia nasce lo spreco come teoria e prassi di governo e la Lega come movimento di opposizione. Quello de L’Aquila si ricorderà per le risate al telefono, di San Giuliano di Puglia si avranno in mente i 27 bambini sepolti a scuola. In quarant’anni sei terremoti distruttivi, quasi cinquemila morti e quasi quindicimila feriti, quasi cinquecentomila case andate perdute e un mucchio indefinibile di quattrini, un fiume che ha allagato fin quasi a sommergere l’Italia.
LA STORIA contemporanea è composta da un’unica, interminabile sequela di scosse, cronaca di banditi e di eroi, figuranti acchiappavoti, ingegneri acchiappa appalti. Solo il Friuli, che pure mette a frutto più di quindicimila miliardi di vecchie lire, si salva dal repertorio delle truffe: 990 morti, centomila senzatetto da quel rombo del 6 maggio 1976. 6,4 della scala Richter, epicentro dietro Udine ma corpi ovunque. Gemona è trafitta dalle pietre, e pure Venzone, Chiusaforte, Tricesimo. I friulani numerano mattoni e portali che diverranno la più possente e filologica opera collettiva e popolare di ricostruzione, con scandali ridotti al minimo.
Scosse di minore intensità e durata separano la ricostruzione di Gemona da quella irpina. Sono Messina e la Valnerina umbra (quest’ultima il 9 settembre 1979, cinque morti) a fare da intermezzo. Perché il 23 novembre 1980, 30 chilometri a est di Eboli, la scala Richter schizza a 6.9. Sarà un’ecatombe. Morti accertati 2735, feriti almeno ottomila, distrutti totalmente 31 paesi, parzialmente un altro centinaio. I senzatetto ammontano a 362 mila. Gli ultimi convogli dell’esercito giungeranno a destinazione anche dopo dodici giorni, vagando per campagne sconosciute e misere. La solidarietà è così potente che da ogni luogo della terra giungono aiuti e promesse. Anche Saddam Hussein, il dittatore che noi occidentali un bel po’di anni dopo porteremo all’impiccagione, stacca un assegno di 500 mila dollari. Angeli ed eroi a mani nude svuotano quel che resta delle case per salvare quel che resta delle vite. Il Comune di Laviano, poco più di 1200 residenti, perde quasi un terzo dei suoi abitanti. Il telegiornale manda il filmato dell’apocalisse: le bare sono così tante che occupano i due lati della strada piegata dai tornanti per quasi un chilometro. Eppure i morti sono di più delle bare. Per gli animali si procede alle fosse comuni, alla calce tirata addosso ai cani e ai gatti. È tutto un tanfo, un odore inimmaginabile, una visione inimmaginabile e un dolore inimmaginabile. Scriveranno dell’Irpinia Sciascia e Moravia, scriveranno i grandi letterati. Si allargano i cordoni della borsa, i morti chiamano i vivi al banchetto. Gli industriali del Nord fanno cordate, tecnici sono convocati da ogni parte di Italia. Confindustria ottiene dal governo la possibilità di far impiantare ai suoi soci aziende con un finanziamento al 100 per cento senza contropartita. Nessun impegno sulla qualità del lavoro, dell’occupazione, del mercato.
È UN GRANDE SPRECO nel quale la popolazione autoctona ha un ruolo non centrale. Eppure, vicino a Gemonio, inizia a comparire il primo manifesto leghista immaginato da Umberto Bossi. Una mucca al posto del Nord e tanti assatanati fannulloni meridionali che succhiano in luogo dei vitellini. Di certo è che si sprecarono un mucchio di soldi, finanziando ricostruzioni senza titolo e costruendo 400 mila vani più del dovuto. Di buono ci fu la consapevolezza che il governo dovesse dotarsi di una struttura permanente di Protezione civile. L’impegno fu portato a termine anche grazie a un parlamentare della Democrazia cristiana di Varese, Giuseppe Zamberletti, che nel ruolo di commissario straordinario diede prova di attivismo e concretezza.
La storia insegna, diceva Antonio Gramsci, ma ha cattivi scolari. E infatti il quindicennio che segue serve a rifinanziare blocchi veri o presunti di zone colpite. Poi il sisma dell’Umbria e delle Marche del 26 settembre 1997: meno distruttivo. La basilica di Assisi barcolla senza però piegarsi del tutto. La forza della scossa (5.9 della scala Richter) devasta cinque paesi e furono cinque i morti. Sarà una ricostruzione a marchio coop dentro il solito reticolo della clientela e della militanza, questa volta rossa.
La commozione nazionale si ritrova il 31 ottobre 2002 e versa lacrime al confine tra Puglia e Molise, nel Comune di San Giuliano. Sono 27 i bambini che periscono nella scuola che cede. È il primo terremoto del regime televisivo berlusconiano. Si fermano le gru per permettere ai riflettori Rai e Mediaset di rendere la cronaca dovuta all’arrivo del premier. Silvio Berlusconi è tra i genitori in lacrime e sa che l’Italia piange tutta. Quelle lacrime fanno dimenticare che il sisma è stato mortale a causa di una sopraelevazione irregolare e che i danni sono davvero circoscritti a un’area poco vasta e poco abitata. Ma l’emergenza è un’industria che ha molte ambizioni. A poco a poco tutto il Molise viene classificato come danneggiato e un miliardo di euro costa l’artifizio.
DUE IN MENO de L’Aquila, 6 aprile 2009, il fondale perfetto della sceneggiatura che qui vuole anche un vertice del G7. Berlusconi decide che deve diventare uno show mondiale di efficienza e superiorità tecnologica. Gli presentano le case a molle, sono prefabbricati in legno multipiano costosissimi (2.500 euro a metro quadrato), ma belli da vedere. Ciascun terremotato avrà un salottino e il frigo con lo champagne. Sono le new town e circondano L’Aquila (309 morti, 65 mila sfollati). Una pazzia da emiri che vale da sola un miliardo di euro (nel conto anche la prima emergenza) senza toccare un chiodo nel centro storico. Nessuno ha letto Gramsci.
Da: Il Fatto Quotidiano, 26 agosto 2016
Il suo commento è prezioso e coglie un punto centrale: la questione culturale. E’ del tutto pacifico che non esiste nessuna norma, nessuna disponibilità finanziaria, se non è accompagnata dal rigore del controllo e da una nuova coscienza nazionale che fondi su un solo articolo il proprio comportamento: la furbizia è una devianza dell’intelligenza.
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Gentile Caporale, mi permetto un commento un po’ più lungo del consueto e forse del consentito.
Ho molto apprezzato il titolo dell’articolo. Anche se poi nel testo non ho trovato quello che avrei auspicato. Credo che i crolli siano il termometro dello stato generale della cultura del nostro paese, della generale ignoranza scientifica, della propensione alla furberia, della cronica carenza di programmazione e della
Sono un sismologo dell’INGV (parlo a titolo personale).
In questi giorni di tragedia, a caldo e anche giustamente, si sta esprimendo tutto lo sdegno per quanto sia inconcepibile che un grande paese come l’Italia debba pagare un prezzo così alto a terremoti di magnitudo tutto sommato neanche tanto elevata. Da più parti si sente ripetere che è ora di intraprendere un serio programma di prevenzione, che consenta di limitare o anche evitare del tutto i danni prodotti da eventi sismici. Va detto subito che questa affermazione è assolutamente sacrosanta, da anni tutta la comunità nazionale sismologica si sgola ripetendo quanto sia indispensabile ragionare in termini di prevenzione, se si vogliono evitare ulteriori catastrofi, risparmiando anche molto di quel denaro necessario per le ricostruzioni a posteriori. Ma adesso si sta affrontando la questione come se fosse esclusivamente amministrativa ed economica, sostenendo che è necessario un programma di lungo termine, che porti alla messa in sicurezza del patrimonio abitativo e, in generale, edilizio. Chiaramente Questa è la posizione di amministratori e ingegneri, per lo più.
Ma trovo che questa posizione sia manchevole nel non considerare gli aspetti culturali del problema. È necessario pensare a un piano di prevenzione e non solo, che modifichi radicalmente la mentalità di una intera nazione, amministratori e cittadini. In un articolo sull’Unita del (25 agosto. Erasmo De Angelis sostiene che “il primo cantiere da aprire è dentro di noi, nelle nostre teste” ed proprio così se, come dice lui, neanche utilizziamo i bonus fiscali per gli adeguamenti in senso antisismico. Forse perché poi bisogna dichiarare il prezzo della ristrutturazione e presentare tutte le fatture delle spese (quindi pagando di più), aggiungo io. Ma neanche basta obbligare alle ristrutturazioni i proprietari di edifici non a norma, se ancora oggi abbiamo livelli elevatissimi di abusivismo edilizio. I dati pubblicati nel rapporto “bes 2015” dell’ISTAT dimostrano che, in media, su tutto il territorio nazionale circa 13 ogni 100 nuove costruzioni sono abusive, con punte di circa 60 su cento in alcune regioni meridionali. Questo significa che nessuno le ha mai autorizzate e, soprattutto, nessuno sa come sono state costruite, a parte l’abusante che potrebbe poi morirci sotto. Per non parlare di abusi minori, come le ristrutturazioni con aumenti di carico o con diminuzione di resistenza, magari per motivi estetici.
Non basta obbligare alle ristrutturazioni se poi, come elenca il rapporto di Legambiente del 2014 sull’abusivismo, si ripetono ancora i tentativi di introdurre a livello legislativo condoni più o meno mascherati o blocchi delle demolizioni. Non è un caso poi quello che sta succedendo in questi giorni e che è successo a L’Aquila nel 2009.
La questione è culturale, quindi, e non solo per quanto riguarda comportamenti illegittimi. Un’importante ricerca ideata da Crescimbene e La Longa, due ricercatori (psicologi) dell’INGV, dimostra che oltre l’85% della popolazione italiana ha una percezione del pericolo sismico nella propria area più basso di quello effettivo. Questo significa che queste persone, non avendo consapevolezza, non adotteranno comportamenti orientati a mitigare la vulnerabilità del loro ambiente di vita quotidiana, o addirittura agiranno in senso inverso, elevando quindi il livello di rischio. Sarebbe importante invece diminuire anche i possibili danni non strutturali: diversi studi dimostrano che, anche in caso di terremoti di magnitudo non elevatissima (come sono quelli che avvengono in Italia) e anche se gli edifici non cadono, si può perdere la vita per meno di 1 euro, per esempio, il costo di un po’ di chiodi per fissare una libreria al muro. È la cultura della prevenzione in generale che va diffusa. Da noi ci sono scuole e uffici in cui non sono mai state effettuate prove di evacuazione, uscite di sicurezza blindate con catene e lucchetti o bloccate da automobili in divieto di sosta e, in generale, nessuno sa se il proprio comune abbia approntato un piano di protezione civile e, nel caso, quale sia, né ha mai pensato di tenere in casa un kit d’emergenza (coperte, torce a pila, fiammiferi, …) da utilizzare in caso di necessità. Piccolezze che possono fare la differenza.
La questione è culturale, infine, per quello che riguarda lo stanziamento di fondi alla ricerca scientifica in generale e alle geoscienze in particolare. In Italia abbiamo reti di monitoraggio adeguate ai migliori standard strumentali internazionali, ma in termini numerici significativamente inferiori rispetto a quelle della California meridionale, per esempio. Da molti anni ormai i fondi ordinari per università e enti di ricerca e quelli per i progetti di ricerca diminuiscono costantemente, al contrario di quanto accade in tutti i paesi maggiormente sviluppati, che addirittura sono ritornati a incentivare la ricerca di base, riconoscendo il ruolo di traino che questa ha per la crescita culturale, sociale ed economica.
In un articolo pubblicato sulla rivista Nature nel 2011 e titolato “Corruption kills”, i sismologi Ambraseys e Bilham dimostrano che nei paesi con maggiore tasso di corruzione i terremoti uccidono di più e l’Italia è ovviamente nel quadrante peggiore del loro grafico. La corruzione non riguarda solo l’abusivismo o il denaro rubato nelle ricostruzioni, ma altera le priorità delle scelte politiche, trascura le necessità della cittadinanza, ignora e anzi mortifica la crescita culturale della nazione. Per questo c’è bisogno di un vero cantiere che modifichi completamente gli orizzonti.
La saluto cordialmente.
Nicola Alessandro PINO