Ci vorrebbe Masaniello per salvare il Mezzogiorno e forse l’Italia.
Lo spiega Aurelio Musi, napoletano, storico dell’età moderna e studioso di questo giovanotto della plebe partenopea, Tommaso Aniello d’Amalfi, nato in Vico Ratto del Mercato, pescivendolo di mazzamma (minutaglia, scarto del pesce), pratico di contrabbando con moglie prostituta per necessità.
Neanche su Masaniello abbiamo le idee chiare, professore?
Certo che no! Il movente populista fa sì che a ogni piè sospinto individuiamo un Masaniello ovunque si odano urla, qualunquismi, sbreghi alle leggi, fanatismi. Che il ragazzo dei vicoli di Napoli fosse il portavoce della plebe non c’è discussione, ma la sua opera qualificante, chissà perché taciuta, è di aver saputo governare le speranze non soltanto degli ultimi e degli affamati. La vera grandezza di Masaniello è di aver costruito contro la nobiltà partenopea affamatrice e schiavizzante un blocco sociale largo.
Masaniello ha cucito alleanze?
Altro che! La sua visione è stata così politicamente sapiente da aver previsto un ponte tra la plebe e gli artigiani, i disperati e la classe borghese, gli affamati e i signori con le scarpe lucide. E Masaniello il ribelle è stato così tanto sagace da non perdere mai la bussola. Il suo obiettivo era di ridurre i privilegi dei nobili, riassestare e riequilibrare una condizione di vita più accettabile per il popolo senza mai mettere in discussione la Corona.
La realpolitik di Masaniello.
Quando lo si chiama in causa si rammenti questo suo profilo istituzionale, questa moderazione e questo rispetto. Che è stata la sua forza, seguita al miracolo di un’operazione interclassista.
E perché oggi il Sud dovrebbe sognarne un altro?
Perché è una società atomizzata, dispersa, senza più collegamenti tra le classi sociali. Con uno strato popolare che soffre sempre di più, un ceto dirigente e governante di scarsissimo livello, e un’identità territoriale sfregiata. Oramai sembra un dato acquisito che il Sud è una palla al piede.
Il Sud trascina il Nord verso l’Africa, il Sud è sprecone, il Sud è immorale, è criminale.
Esatto. La fotografia spietata ma piuttosto vicina alla realtà è che il giudizio di larga parte del ceto influente e governante del nostro Paese è che il Mezzogiorno sia una questione da archiviare, una terra da abbandonare. È l’esito finale della propaganda leghista, purtroppo vittoriosa.
È un caso che da vent’anni e più al governo ci siano solo personalità nate a nord di Roma?
L’assestamento geopolitico produce l’esatta fotografia delle forze in campo. Solo negli Anni Ottanta Napoli e la Campania detenevano le leve nazionali del potere, premier e ministri di primo livello. Tutto veniva deciso qui. La crisi succeduta a Tangentopoli ha fatto saltare il banco.
Dal 1992 il Sud indietreggia.
Ogni anno peggio. La rappresentanza politica si è andata svilendosi perché la stagione che doveva promuovere i grandi sindaci (Napoli aveva Antonio Bassolino, Catania aveva Enzo Bianco) è andata presto increspandosi. I sindaci hanno fatto cilecca e il loro fallimento ha prodotto la progressiva defaillance della società.
Il Sud non conta più niente.
Rappresentanza politica così modesta da apparire indecente, con il Parlamento invaso da personaggi di scarsissimo lignaggio morale e con una accentuata propensione all’ascarismo. Questa crisi di rappresentanza provoca il completo disfacimento di un territorio. Chi può fugge via. Restano i disperati, gli anziani, manipoli di coraggiosi e basta così.
De Magistris è ingolosito da Masaniello.
Si è fatto chiamare sindaco di strada e non c’è dubbio che abbia qualità populistiche. Credo che anche Vincenzo De Luca, il governatore, abbia fatto ripetizioni sul tema. E il premier Matteo Renzi pratica la cosiddetta disintermediazione: lui e il popolo, senz’altri impicci di mezzo.
Poi Salvini, poi Grillo. Populismi da ogni luogo.
Perciò dico che si cita a sproposito Masaniello. Non lo conoscono, pensano che essendo un pescivendolo di mazzamma fosse solo un arrevotapopolo (colui che incita alla ribellione, ndr). Così lo squalificano.
Masaniello era come Aldo Moro?
Io dico che era più cauto di quel che si pensi, più duttile di ciò che si crede, più stratega e più attaccato alle istituzioni.
Non c’è confronto con gli urlatori di oggi.
Masaniello di questi faceva un unico mazzo e se lo infilava in tasca.
Da: Il Fatto Quotidiano, 21 maggio 2016