Quella di Silvio Berlusconi è l’Italia peggiore che abbiamo conosciuto, oppure ce n’è un’altra ancora che si appresta a mostrarsi: silente, indolente, affamata e conformista? Paul Ginsborg è maestro di storia patria ma londinese, è cittadino di Firenze ma antirenziano, è teorico della democrazia partecipata ma diffida di Grillo, pieno di passione per la politica e pieno di delusioni dalla politica. Infervorato e militante ai tempi dei girotondi contro Silvio il Re, acquartierato nel suo studio e più defilato oggi.
“Vorrei far sentire la mia voce in difesa della Costituzione per dire no a una democrazia personalistica, autoritaria, spiccatamente familistica. La premessa non mi esime da un’ammissione: no, io non l’avevo previsto che dopo Berlusconi avremmo dovuto fronteggiare quello che a me sembrava un ragazzone voglioso di affermarsi, ambizioso certo ma nella rete dei fenomeni locali. Un sindaco di carattere e poco più”.
Voi professori non ne azzeccate una!
Non direi. Non è compito dei professori guardare la sfera magica e predire il futuro. La serietà dei nostri studi e l’impegno nella sfera pubblica sono le cose che contano. L’università è stata attraversata da un feroce ridimensionamento. Io sono andato in pensione, chi mi ha sostituito? Tagliare la cultura significa impoverire la società, assicurare al potere, di qualunque natura e colore, ancora più argine. Meno analisi critica, meno approfondimento, minore conoscenza.
Ma che tempo è quello attuale?
È un’età di inquietudine, di forte preoccupazione. Che può apparire come indifferenza, con i cittadini oramai convinti che non esista altra possibilità che rassegnarsi. Eppure nella società hanno corpo decine e decine di iniziative magari minuscole e appartate, ma sono cellule attive, orecchie pronte ad ascoltare e a muoversi. Quando si connetteranno, se si connetteranno, scopriremo un’Italia diversa da quella che noi oggi raccontiamo.
Lei è fiducioso.
Sono un po’più ottimista di lei ma non è l’ottimismo o il pessimismo che contano in questa situazione.
Quindi se dovesse pronosticare?
Vedo questo nostro presente troppo simile alla situazione dopo il crash del 1929 e troppe sono le vicende che conducono all’affermazione di una destra estremista e razzista. Sarebbe catastrofico ma resta (e qui di mezzo c’è l’Europa) uno sbocco più che plausibile. Però queste comparazioni hanno valore se si mettono sul piatto della bilancia non solo le somiglianze ma anche le differenze.
Però voi intellettuali non siete riusciti, al tempo di Berlusconi, nemmeno a dare corso a un progetto politico. Si chiamava Alba il vostro movimento. È tramontato lo stesso giorno.
Non accetto questo giudizio. Certamente molti progetti, con o senza professori, sono falliti in questi anni. Ma il manifesto di Alba rimane uno dei documenti più originali e utili. Mi lasci però dire che promuovere l’idea di una democrazia partecipativa sia un tantino più faticoso, complicato. E la complicazione si fa doppia se bisogna gareggiare ad armi impari. I partiti con i loro apparati, le piazze, i soldi e noi a mani nude, per di più sprovveduti tecnicamente.
Anche Beppe Grillo era fuori del sistema eppure ha agganciato un popolo. Non la fa riflettere? Non le consiglia una analisi più profonda: cosa dicevate e come? Le vostre parevano parole piene di polvere, distanti. Quelle del comico si ficcavano dentro la pancia degli italiani.
Mi sembra un commento un po’ fuorviante e populista. Il rinnovo della società italiana ha bisogno di tutte e due le cose: passione e riflessione. E poi anche Grillo disponeva di qualche soldo. Certo, nulla da paragonare a quelli berlusconiani, ma molti di più rispetto alle nostre tasche. Naturalmente il suo successo è dovuto ad altro. Non ultimo quello di aver costruito un partito che lui solo guidava, gestiva, disponeva.
Un movimento antidemocratico? Beh, la democrazia è qualcosa in più di una figura carismatica. Nel deserto italiano quel movimento ha comunque costituito una novità.
Non discuto. Quello stesso deserto ha aiutato Matteo Renzi a costruire, in un tempo davvero breve, il suo partito personale. I suoi amici sono divenuti ministri, la sua famiglia politica stretta edifica il nuovo potere. Ora siamo nientemeno che al cambiamento della Costituzione in una manomissione così grave che il dovere di tutti è quello di dirgli no. Anzi, di gridarglielo forte quel no. Non si aspettava tanta velocità.
La storia stupisce sempre.
Ma non abbia una visione statica della realtà e delle persone. Che oggi – è vero – paiono rassegnate e indifferenti, ma l’identità di ognuno di noi è più complessa di quel che si crede. Può persino accadere che la realtà ci sorprenda di nuovo. Però niente sfera magica per piacere!
Da: Il Fatto Quotidiano, 9 maggio 2016