All’uomo che ha ucciso tutte le fatalità, tutte le forze demoniache incontrollabili, e che perciò ha incominciato oggi col rinnegare la fatalità del mondo borghese, e si sforza oggi, con tutte le armi dialettiche, col sorriso, col ghigno, col sillogismo catafratto di farla rinnegare a un numero sempre maggiore di uomini. Che si sforza, con un lavorio corrodente di critica implacabile, di arrivare, attraverso la purificazione drammaticamente raggiunta col dolore, alla impassibilità stoica della coscienza universale, per giudicare gli avvenimenti con la pupilla ben aperta, col cervello slargato, contenente nel ritmo del suo pensiero gli echi della musica universale, dell’accordo polifonico, delle aspirazioni degli uomini piú liberi di tutto il mondo. E poiché le parole, monete tarlate di un mondo tarlato dalla retorica dei servi padroni, sono sorde a riempirsi dell’empito della coscienza dell’uomo libero, il mio essere più profondo si alimenta della sua stessa passione, momentaneamente circoscritta a troppo pochi individui, schivando di servirsi, in un mondo di larve vaneggianti in una prigione di nebbia, delle stesse parole che questa prigione servono a infittire e a rendere piú pestilenzialmente nauseabonda.
Avanti!, ediz. piemontese, 25 maggio 1917, «Sotto la Mole»