Twitter mi ha salvato. È un meraviglioso gioco di società che ha allentato la pena della pensione, la considerazione che la tua vita finisce con la quiescenza, come se la testa e i piedi fossero destinati all’inerzia allo scoccare della terza età. Un amico mi propose di impiegare il tempo sfidando i 140 caratteri del pensiero breve. Oggi sono divenuto un twittatore felice, presente quotidianamente nella nuvola virtuale. Giudico, sfido, litigo, polemizzo, sostengo. E mi diverto”.
A ogni terremoto, a ogni tragedia, misurata o immensa, a Enzo Boschi veniva chiesto perché la terra ballasse sotto i nostri piedi e se si potesse spegnere il fuoco che arde nelle montagne vulcaniche, e se si potesse prevedere e anticipare la sciagura. Lui, il più noto sismologo italiano, era così allenato alla disgrazia che la trattava con una tale confidenza e ruvidamente spiegava che la scienza non era in grado di prevedere alcunché. Forniva statistiche, analisi congiunturali, rassegne storiche delle terre tremule italiane. Nel 2009 Guido Bertolaso lo convinse però a inoltrarsi nella predizione e mal gliene incolse. Condannato in primo grado a sei anni per omicidio colposo insieme ai componenti della commissione Grandi rischi convocata a L’Aquila nell’intento di acquietare le paure. In appello però Boschi è stato poi assolto.
“Ero così impegnato a difendermi che i primi tempi della pensione furono impiegati a districarmi dalle accuse. Non avevo tempo, la terza età non era ancora giunta”.
Ma poi venne il momento in cui lei si sentì un ex. Ex sismologo, ex presidente dell’istituto di geofisica, ex potente.
Volevo dare una mano, rendermi utile in qualche modo. Ho ancora il cervello in buono stato e qualche esperienza da spendere. Il mio successore mi fece presto capire che rompevo le scatole. Allargai il campo, ma nel breve giro di orizzonte che segui, mi convinsi a desistere dal proporre ipotesi di utilizzo. Ero stato messo in panchina e lì dovevo rimanere.
Un potente non ha età.
E allora si vede che non facevo parte della famiglia degli intramontabili. Anche se non posso negare di essere stato membro del circuito del potere e l’ho esercitato forse senza le aperture che sarebbero state necessarie verso le energie nuove. Però questa idea che basti l’anagrafe per garantire la virtù è una di quelle coglionate cosmiche a cui noi italiani appendiamo ciclicamente la nostra vita.
Desideriamo il nuovo, purchessia.
Cadiamo sistematicamente nella truffa del pensiero banale.
I giovani saranno anche deludenti, ma voi vecchi siete stati parecchio stronzi.
Ecco, sul punto condivido: siamo stati un po’ stronzi. Abbiamo cooptato gente che non meritava, ostruito carriere a chi invece poteva raggiungere il successo. Nel l’università abbiamo ideato un metodo di selezione che innegabilmente rallenta la vita e le speranze di chi invece avrebbe il diritto di mostrare il proprio talento.
Sentirsi inutile conduce irrimediabilmente alla depressione?
Un amico mi consigliò di provare Twitter. E devo dire che per me l’esperimento ha funzionato. È una piattaforma dove si realizza una democrazia orizzontale e diretta. Dove lo zero si accoppia col dieci, il peso massimo risponde al borgataro, lo studente sfotte il professore, lo giudica, ne fa polpette. Trovo eccellente questa prova di dialogo permanente.
È un mondo vero o una casamatta di nickname, di ombre che parlano?
Non me ne frega un tubo della identità altrui e non provo alcun interesse a scoprirla. Se sei intelligente parlo con te, e mi bastano i 140 caratteri. Non avanzo altre necessità.
Quindi i suoi follower non vorrebbe mai conoscerli.
Assolutamente. Sarebbe una pena. Scoprirei personalità modeste, piene di ossessioni, o ingarbugli di identità. No, il sistema funziona perché ciascuno può navigare nell’ombra. Ma le cose che si dicono, le verità che si illustrano, le competenze che documentano un fatto o lo annientano, sono una ricchezza insostituibile e per me inimmaginabile.
Twitter costruisce carriere…
C’è il twittatore ingenuo, quello sincero e lo stratega delle relazioni pubbliche che usa il commento per agganciare, solleticare la vanità altrui, entrare in confidenza. A me, se devo dirla tutta, piace restare sospeso in aria.
Da: Il Fatto Quotidiano, 29 agosto 2015