Impressiona la svolta fantasy di Matteo Orfini, notoriamente legato allo stile prudente e autunnale, tardo-oviesse, del dalemismo. Ha scelto di simulare con le parole lo schema del quantative easing che Draghi realizza con l’euro, ricorrendo massicciamente al vocabolario per infittire di scenari fantastici la nuova traiettoria del suo pensiero. Gli esiti sono ancora incerti ma promettono bene. Iniziamo dall’ultima clamorosa presa di posizione. Orfini vuole indagare i servizi segreti perché gli hanno taciuto di Carminati ‘er cecato, il leader del cosiddetto mondo di mezzo, il boss del magna magna. “I servizi spieghino”, ha detto aprendo il varco al sospetto che col silenzio si sia voluta infliggere ai romani una nuova ingiustiza. Quelli che potevano, sborsando all’incirca venti euro, sono riusciti a comprare Romanzo criminale e si sono fatti per tempo un’opinione sul boss e la sua cerchia. Le fasce più povere, che non solo sono escluse dai circoli letterari ma anche dal mondo Sky, non hanno avuto neanche la possibilità di gustarsi la fiction televisiva. Hanno dovuto attendere la replica su Italia Uno. Il cuore di Orfini batte a sinistra, ed è un fatto. Ma la modernità, i tempi nuovi del renzismo, come spesso ha spiegato, gli hanno imposto di “superare le mie stesse convinzioni”. Matteo, per esempio, era innamorato del biliardino. “L’unica cosa che so fare bene e per cui sono nato è giocare a biliardino”, ha specificato in una delle rare occasioni in cui la sua personalità è stata indagata nel dettaglio. Ha scelto di superare le sue convinzioni la sera del voto, accettando di mettersi a giocare alla playstation con Matteo il Grande. Doppia fregatura: il segretario si è sollazzato e prima dello scrutinio della Liguria è decollato per l’Afghanistan, e a lui – oltre alla cloche – è rimasta sul telefonino la foto che Filippo Sensi, lo spin doctor, aveva scattato e la richiesta di essere proprio lui a spiegare ai giornalisti perché il Pd avesse vinto e non perso.
È STATA UNA PROVA imprevista anche perché lui ricordava di essere stato mandato a fare un giro elettorale prima in Veneto, tra Rovigo e Mestre, dove la Moretti aveva perso. E poi in Liguria, precisamente a La Spezia per sostenere la candidatura di Lella Paita. A Orfini (ma nessuno lo sa) stava per venire un coccolone quando pareva che anche l’Umbria, la terza delle tre regioni toccate dal suo eloquio, fosse andata smarrita. Poi invece Catiuscia Marini si è ripresa e lui si è rasserenato, inorgoglito anche dalle ultime prove tv.. A Ballarò, nell’ultimo ring televisivo pre-elettorale, aveva preso in contropiede Luigi Di Maio: “Come ti permetti? Il Pd a Roma non è assolutamente coinvolto nello scandalo di Mafia Capitale”. Poi il colpo a effetto: “A Ostia i Cinquestelle sono gli idoli dei mafiosi”. Orfini queste cose le sa perché è commissario del partito romano e piano piano, senza dirlo in Procura, sta restituendo al simbolo i valori perduti, “I vecchi valori della sinistra” ha detto. In questo caso parlava anche da presidente del Pd e spiegava che, tolta di mezzo l’inguardabile Rosy Bindi, autrice “di una lista di proscrizione”, la prova del partito al nord come al sud era stata magnifica. In Campania ancor di più! “De Luca è candidabile, eleggibile e insediabile”.
È nella tempra dell’uomo quella di scavare alla ricerca del dettaglio perduto, e fa parte sicuramente del bagaglio culturale che l’ex assistente e portavoce di D’Alema ha ottenuto dai suoi studi di archeologia, la necessità di cambiare registro quando l’ordine precostituito si trasforma in disordine. E dunque: ciò che era di sinistra il martedì, quel partito abbondantemente risanato il mercoledì e sicuramente aperto alle nuove sfide della modernità, al giovedì gli è riapparso, almeno nella composizione romana, figlio di una “guerra per bande”. “Nel Pd c’è stata una guerra per bande”, ha detto così.
NON TRAGGA d’inganno il tratto somatico, la barba lievemente balcanica da funzionario del ministero degli Interni di Bulgaria. Orfini sa essere spiritoso. Ha detto, per esempio: “Le ricette di Renzi sono vecchie”. Di più: “Il Milan è una scelta di sinistra”. Però ha anche detto che i ministri dei governi tecnici sono stati “delle discrete pippe”, e che anche lui in fondo un po’ lo è: “Accogliendo gli inviti dei miei numerosi troll vado nell’orto a zappare”. Mezzadri d’Italia ha esultato con un tweet: “Benvenuto tra noi”. Un suo elettore, Gaetano Franco, è stato colto dal dubbio: “Mo’ anche tu scendi in campo?”.
da: Il Fatto Quotidiano, 6 giugno 2015