IN PARLAMENTO C’È CHI ANDAVA IN PRIMA ELEMENTARE QUANDO IL PRESIDENTE IN PECTORE SI DIMETTEVA DA MINISTRO: COSÌ IL ROTTAMATORE HA RIPORTATO IN AUGE LA CLASSE 1941
Siamo alla macchina del tempo. Il corpo di Sergio Mattarella, senza sua colpa, è stato sbrinato e servito a tavola. Ma come i croupier con le carte da gioco, l’intera figura ancora non è pubblica. Ci si è fermati al volto, formato tessera o ristretto nell’abito di giudice costituzionale con quella meravigliosa ruota merlettata al collo. Una traccia di busto a livello del polmone, la più aggiornata evidentemente, lo ritrae nel solito grigio esistenziale in una cerimonia pubblica a fianco di un interdetto Matteo Renzi costretto al silenzio per via dell’abitudine del suo occasionale compagno di sedia a non agitare una sola lettera dell’alfabeto. Molti elettori del candidato in via di definitiva quirinalizzazione, avevano sei anni quando lui abbandonò il governo per via dei favori a Silvio Berlusconi, sempre lui. Giuditta Pini, del suo stesso partito, deputata di Modena, ne aveva invece quattro. Aveva lasciato da poco la pappa. Da giovanetta il primo e ultimo contatto. “Conobbi il nome di Mattarella perchè il mio moroso non fece il militare. Lui è nato nell’86 e la sua classe anagrafica fu la prima a essere graziata dalla naja. Perciò sapemmo della legge e quindi di Mattarella. Ma la curiosità finì lì”.
IL PARLAMENTO più giovane, composto per un terzo da volenterosi trentenni, si trova frullato nell’età democristiana della prima Repubblica. E vota uno sconosciuto, nel senso proprio del termine.
Khalid Chauki ha 34 anni: “Mattarella mi ricorda la naja. Poi il Mattarellum. Poi basta, ho solo questi flash”. Conosceva il suo volto? “No”. Ha mai ascoltato la sua voce? “No, mai. Ancora adesso non conosco il tono. Dicono che non sia squillante, non uno che sorrida. Severo, così pare”.
Avrà modo il giovane Khalid di ascoltarlo forse martedì, se tutto come sembra andrà a buon fine. Ma Paolo Nicolò Romano che ha compiuto i trent’anni solo da qualche mese e frequenta il Palazzo solo grazie alla recente infatuazione per Grillo giura di non sapere un’acca di questo uomo così illustre. Astigiano, classe 1984, la prima volta che l’onorevole Romano è andato in un seggio elettorale ha ricevuto in mano la scheda figlia del Porcellum: “Io davvero non ne so niente di niente. Di lui zero”. Nelle ultime settimane, per dovere d’ufficio, ha consultato Wikipedia. “Anch’io ho votato per la prima volta col Porcellum, però Mattarella lo cobnosco per averlo letto nel tomo di preparazione all’esame di diritto costituzionale”. Lui è Luca Frusone, grande elettore ciociaro. Angelo Tofano, 1981, salernitano, ha un vuoto di memoria. Ha studiato ingegneria civile e voticchiava senza bussola. “Una volta a destra, un’altra a sinistra”. Poi è arrivato Grillo. Mattarella mai.
Esistono anche fenomenali sorprese di traviamento in età puberale. Al quarantenne cagliaritano Marco Meloni, per esempio, il cognome Mattarella e la sua successiva declinazione in Mattarellum erano parole amiche dall’infanzia. “Andavo per comizi già a dodici anni, credo di aver parlato in pubblico in seconda media e fatto una campagna elettorale a 14 anni. Ma sono un ammalato, non faccio testo”.
La memoria vuota, cieca, nera di questa parte del Parlamento è quella dell’Italia che non esisteva al tempo di De Mita. E nemmeno di Occhetto. E manco di Prodi. Applaudirà un marziano, e vedremo come.
DISSEPPELLITA la Democrazia cristiana nella versione più integra e commestibile, si è dovuto lavorare a ritroso al punto che i cronisti hanno dovuto rintracciare persone ritenute trapassate. Un piemontese dc di lunghissima e onorata carriera come Guido Bodrato considerato dai più, senza nessuna malizia malvagia, scomparso dalla vita terrena ha piacevolmente trascorso le due ultime serate (e altre occorreranno di sicuro) a illustrare le doti, le qualità, l’eccellenza dell’amico Sergio. E anche Ciriaco De Mita scenderà da Nusco per dire la sua. Ottantenni impenitenti, vestigia di un tesoro dimenticato, salgono anch’essi al Colle nella più incredibile chiamata alle armi da parte del rottamatore, oggi forse già molto ex.
Chi lo doveva dire? Un grande mondo antico svelato e rilucidato.
Tutto torna?
Torna la Dc ma non il Pci. Uscito dalle tenebre il primo partito italiano del secolo scorso, finisce nelle tenebre il secondo partito di quel secolo, il più grande movimento politico della sinistra. Gli eredi legittimi di Botteghe oscure hanno fondato il Pd occupando tutte le poltrone. Poi in pochi mesi il mondo è andato alla rovescia o, ma questi sono punti di vista, ha cambiato verso. Dopo Bersani, l’ultimo dei mohicani, è toccato al boy scout Renzi assumere il comando del partito con furiosi iniezioni fiorentine, tutte strette dalla maglia del giglio magico. Roba sua. Scomparso ogni rosso possibile, compresa l’Unità, il giornale di Gramsci, sono declinati fino a scomparire del tutto i nomi che avessero avuto una filiazione anche lontana, anche purgata con l’antica bandiera. Due anni fa per scegliere il successore dell’ex comunista Napolitano poi rieletto, si parlò dell’ex comunista Luciano Violante, infine dell’ex comunista Massimo D’Alema. Niente e niente. Nel biennio un’altra selva di nomi rossi sono stati sparati come possibili quirinabili. Dal più forte Veltroni al più debole Chiamparino, passando per le giovani donne che hanno fatto carriera: Anna Finocchiaro e Roberta Pinotti.
Ra-tà-tà: una mitragliata e via. Tutto cambia. Oppure, convenientemente, tutto torna.
da: Il Fatto Quotidiano 31 gennaio 2015