Azimut Benetti è leader mondiale della nautica d’alto bordo: nelle sue officine il conflitto teatrale tra ricchi e poveri, tra le tasche piene di dollari e la minuzia degli assegni familiari
I PACCHI di euro sbriciolati in questi venti metri quadrati sono la prova che quando la ricchezza esonda – supera cioè quel livello di guardia che permette all’umano di restare umano – prende vie di fuga irragionevoli. I ghirigori sulla tazza del cesso, i pomelli d’oro accostati al frigorifero, il mogano intarsiato per sostenere il sorbetto al limone restituiscono al superfluo un carattere elementare, basico, progressivo. Non c’è fondo al fondo né tetto all’accumulazione. Ma è sempre questione di punti di vista: qui ad Avigliana, all’imbocco della strada che conduce al cantiere del Tav, alle proteste, ai bengala e ai manganelli, mille famiglie campano grazie al superfluo che i ricconi del mondo ordinano via mail. Ai bordi del lago di Avigliana, nella Val di Susa, si costruiscono yacht dalla tripla A, imbarcazioni imbottite di preziosi, testimoni urlanti che il ricco esiste ma vive lontano da noi. “Beato lui” dice Francesco, falegname, mentre misura la curvatura del mogano, i millimetri che separano una lastra di legno dall’altra e che dunque rendono inqualificabile, perché difforme dall’ordinato, l’opera. Il riccone non transige: i suoi dollari, i suoi euro e i suoi yen devono servire a smascherare qualunque cedimento alla imperfezione.
Venite all’Azimut Benetti, leader mondiale della nautica d’alto bordo, e restateci un giorno. È uno spettacolo imperdibile, è il conflitto teatrale, dimostrato (e fatturato) tra i ricchi e i poveri, tra le tasche gonfie di dollaroni e la minuzia degli assegni familiari, della passeggiata all’outlet e la spesa al discount. Il capitalismo esiste e prende le forme di questa vetroresina, di queste prue incollate con speciali attack, di questi velluti e sete e ricami vari che aderiscono perfettamente all’idea che il troppo non storpia. È la partita doppia della vita: chi non sa dove più sistemare i suoi assegni e chi non sa come pagare il mutuo. E il guaio è che i poveri sono divenuti più poveri quando i ricchi hanno smesso di fare i ricchi e hanno ridotto gli acquisti apocalittici, esagerati. “L’Italia in passato ha avuto il più alto numero di cantieri navali al mondo, ma ora non è così – dice il direttore marketing Francesco Ansalone – L’Italia deteneva tra il 60 e il 70 per cento della produzione mondiale, poi con il governo Monti è cominciato il declino. Il 2008 è stato l’ultimo anno di crescita per noi con quasi circa un miliardo di fatturato”.
I lupi di mare sono lepri e scappano in Costa Azzurra
Poi la crisi e gli inasprimenti fiscali. La Guardia di Finanza ha iniziato (giustamente) a voler indagare tra i gusti dei nostri concittadini e a conoscere quanti lupi di mare annovera la Penisola. Allora i lupi si sono fatti agnelli, una tipicità del carattere nazionale, e hanno sotterrato all’estero i loro averi. Alcuni invece sono divenuti lepri e hanno iniziato a scappare in Costa Azzurra o in Croazia, attraccare lì i loro figli prediletti oppure resistere alla tentazione e girare al largo dalle onde. Una legislazione fiscale troppo severa ha condotto alla crisi questa industria timoniera e lasciato a casa un bel po’ di operai nei cantieri di Viareggio, in quelli di La Spezia, Palermo, Castellammare. Il mercato è passato da un fatturato da 15 a 12 miliardi di euro. Altra cassa integrazione, altre lacrime, altre lotte. Non è facile avere da spendere due milioni di euro, se si tiene conto che solo per lasciarla in ammollo una imbarcazione simile, la più piccola del catalogo disponibile alla reception di Azimut, azienda posseduta dalla famiglia di Paolo Vitelli, imprenditore ora passato in politica, è deputato e tesoriere di Scelta civica, costa all’anno il dieci per cento del suo valore. Ed è divenuta una vera tragedia individuare umani che possano impegnare 200 milioni, e siamo al top della gamma, per queste zattere sovraccariche di monili. Ma il business è mondiale e nel pianeta c’è sempre dove splende il sole. I cinesi, per esempio. Qui siamo al colmo della farsa, all’illustrazione di come l’apparenza superi la realtà e di quanto il futile divenga necessario, insostituibile, obbligato. Stefano Simonetti, responsabile di produzione: “I cinesi odiano il sole e non navigano. Quindi scelgono lo yacht per tenerlo in rada, legarlo al porto. I loro gusti perciò tradiscono la loro intenzione. Ci chiedono sempre un grande tavolo rotondo, sebbene noi lo sconsigliamo perchè riduce gli spazi, rovina l’armonia architettonica, restringe le capacità di questi gioielli del mare”. Azimut lavora su ordinazione, ed esegue alla perfezione e con felicità tutte le pazzerie che il cliente ordina. Più stravaganze richiede più il conto si allunga. Il cliente è così esagitato che spessa manda un osservatore in val di Susa, a seguire minuto per minuto l’andamento dei lavori. Questi matti cinesi vogliono giocare a carte, stare fermi, immobili tra la nafta dei porti d’Oriente. E quassù gli sistemano il tavolone, il broccato, le sedute larghe, il kitsch indispensabile e richiesto. In Oriente vogliono ostentare con sicurezza e pervicacia senza patire il minimo sobbalzo. Non amano le onde, né forse questi misteriosi velieri. Ma li vedono in giro, tra le mani dei loro pari grado, e li richiedono. Sono frequenti queste esigenze che regalano al controsenso una logica, una possibilità e un destino. Gli americani per esempio insistono per elettrodomestici grandi e le cucine a vista con una bella isola al centro. Vogliono mangiare, fare il grill, abbuffarsi alle Hawaii e in Giamaica. Prima del tuffo uno spiedino, prima dell’acqua un litro di birra in pancia. Gli italiani vogliono il lusso ma poi ingaggiano una battaglia campale per il televisore da duemila euro. E lo sconto non me lo fa?
Allenati a far fronte ai capricci dei clienti
I ricchi sono matti, ma fanno girare il mondo. Mentre tra i capannoni della fabbrica dei sogni operai colorati di rosso, di grigio, di verde, di blu sono allenati a far fronte ai capricci. Ogni reparto ha il suo colore, e la divisione cromatica è certo una stranezza. Sembrano, ora che ci dirigiamo tutti in mensa, quelle comitive in gita sociale che per non perdersi indossano lo stesso cappellino. “Non ho invidia, so che sono povera e loro sono ricchi”, dice Maria, lavora alla vetroresina, un posto delicato dove bisogna essere agili e attenti. “Qui vanno le donne perchè sono più leggere e hanno più abilità con le mani”. Con le mascherine, la tuta bianca, devono governare l’afflusso dei liquidi che entrano nello stampo, lo scheletro della barca. Le donne sono brave, attente, misericordiose con queste canaline. “Mi piacerebbe essere ricca”, dice una operaia che porta con dignità in fabbrica la sua laurea. “Non ho trovato di meglio, è un lavoro che mi sta bene”. Qualche anno fa erano cinquecento in più, e il colpo si è fatto sentire. “Ho il mutuo e la preoccupazione che possa succedere qualcosa, questa crisi non pare finire mai. E anche noi la subiamo, mica credete che i ricchi spendano come prima?”.
Ci sono gli ex e i nuovi ricchi. Azimut è come uno squalo che va alla ricerca dei monumentali conti in banca. Hanno avvistato prima degli altri l’Angola. Nel paese africano che ha conosciuto il tentativo di promuovere il socialismo reale, sono sbocciati super capitalisti e ora hanno bisogno di bagnarsi, navigare, trastullarsi. Verso l’Africa, ed è una novità, si apre il mercato. È pur sempre un mondo capovolto. Sono i bianchi a servire i neri. L’oro luccica e la pecunia non olet. Venghino signori. In questo castello incantato, nella corte fiabesca divisa in capannoni le sarte compongono il ricamo quotidiano.
Il loculo del marinaio? A poppa, vicino alla nafta
In fila a legare tessuti, distribuire stoffe e colori tra gli ambienti: bagno padronale, camera padronale, camera per gli ospiti, sala pranzo. A poppa, vicino alla nafta e al motore Volvo, il comodissimo loculo del marinaio. Dimenticavamo che la ciurma è obbligatoria: chi potrebbe del resto governare simili mostri marini? E poi pulirli, e ripulirli, cucinare, spazzare. Chi altri se non un operaio? Il ricco è ricco, e Francesco, che ha come compito quello di tagliare fogli di vetroresina, non lo è: “So che la ricchezza non fa la felicità ma se avessi i soldi mi comprerei anch’io uno yacht”. Sorride, poi si scusa: “Non c’è invidia”. Daniela, da Cuneo: “Per me la felicità è la serenità. Con i soldi dello yacht mi toglierei il mutuo, un assillo in meno”. L’invidia forse c’è. “Ho due figli piccoli, capisce perchè vorrei rimanere tutta la vita qua dentro?”.
E per tutta la vita, come fa Laura, registrare ogni minimo sobbalzo termico, pulire e ripulire la canotta della barca, la conchiglia dove altri dovranno alloggiare e godere. Realizzare le mille e una notte, far sognare a chi non ha più sogni ma soltanto bonifici in testa.
A volte succede che l’azienda conduca gli operai al mare. Vanno in gruppo nei porti d’alto rango a passare in rassegna le meraviglie frutto delle loro mani, del loro sudore, della loro fatica. “È bellissimo vedere gli yacht illuminati, giganti, così giganti da perdere il fiato. Ed è un orgoglio sapere che l’abbiamo fatto noi, lo dico sempre ai miei figli: questa barca l’ha fatta il tuo papà”.
da: Il Fatto Quotidiano 3 maggio 2014