IL REGISTA ROBERTO ANDÒ RACCONTA RENZI, A METÀ TRA FASCINAZIONE E RIFIUTO: “HA VITALITÀ E VUOLE STUPIRE. LA POLITICA PERÒ NON È LA RUOTA DELLA FORTUNA”
I due veri partiti che si lottano sono quella dei “Contadini ” e dei “Luigini”. Sono “Contadini ” tutti quelli che fanno le cose (…) che non vivono di protezioni, di sussidi, di mance governative. E i “Luigini” chi sono? Sono la grande maggioranza (…) quelli che dipendono e comandano, e amano e odiano le gerarchie. E servono e imperano. (da L’orologio di Carlo Levi)
La sinistra vinse finalmente e si legittimò, e conobbe il piacere delle folle osannanti quando scambiò il depresso leader navigato e impomatato con il suo fratello gemello, dai tratti invero singolari ma effervescente, sorridente, ottimista, anticonformista. Uno scambio di persona, letteralmente una truffa. Ma risolutiva, palingenetica. L’idea dello scambio è di Roberto Andò, che prima l’ha scritta nel suo romanzo Il trono vuoto e poi l’ha portata al cinema. Viva la libertà non è solo una grande illustrazione della politica come commedia, ma è un magnifico film. Renzi un po’ assomiglia a Giovanni Errani, il filosofo eccentrico interpretato da Toni Servillo che veste i panni dell’improvvisato leader. “Io non vedo molte somiglianze invece. Errani recita, non desidera il potere, fa puro teatro. Renzi invece lo vuole il potere, e fa di tutto per conquistarlo”. L’opposto del suo politico di centrosinistra: “Quello depresso? Sì, portava dentro di sé l’inconscio desiderio di non vincere le elezioni, di non cambiare le cose. Devo dirle che sono curioso di ciò che Renzi farà, perché il fenomeno non è totalmente svelato. Finora ha creato le condizioni per andare a Palazzo, ma non si è espresso nel potere”. Le condizioni le ha create nel peggiore dei modi. Un po’ come quei borseggiatori sui bus: si è fregato il portafoglio del vicino grazie alla calca. “La forma con cui ci è arrivato mi impensierisce. Lui aspirava a vedersi legittimato, pensava che si potesse finalmente uscire dalle trame e dagli intrighi. C’è in effetti un alito tragico dietro alle spalle di Renzi, però malgrado tutto sono curioso di vedere cosa farà. Sono stato uno di quelli che alle altre primarie votò Bersani. Mi sembrava che dopo il ventennio berlusconiano avessimo bisogno di un amministratore discreto, un balsamo per i nostri nervi scossi. Era la discrezione la qualità che più mi spinse verso di lui. Poi però l’ho visto farfugliare, non riuscire a stare al passo con la realtà, con questa Italia. E mi sono ricreduto, ci ho ripensato e ho ritenuto che invece andasse sostenuto Matteo, la sua vitalità, quella voglia enorme di stupire e rifondare”.
NEANCHE la impensierisce la serie di promesse che fa, così enormi da apparire di plastica? “Alza molto l’asti cella della sua prestazione perchè in fondo è un insicuro. Teme che se non le spara grosse si affievolisce l’adesione, il bisogno di lui, della sua verve, della capacità di non essere come gli altri”. Ma Renzi non è un mago, e questa non è la Ruota della fortuna! “Concordo. Esagera e conduce il rischio fino al suo grado estremo, alimenta il messaggio di una sua temerarietà immersa nella irresponsabilità. Renzi è insieme volto e maschera della politica. La sua entrata in scena contribuisce a irrobustire l’idea che sia un romanzo, e dentro il teatro del potere la sua agilità attrae. Ma le chiedo: cosa possiamo fare se non sperare che riesca?”. Lei davvero pensa che riusciranno i giochi di prestigio? “Ma non ha compreso che nei suoi confronti c’è una proiezione del tutto fantastica? Solo nei suoi confronti si hanno aspettative al di sopra delle sue stesse possibilità. La ragione sta nel fatto che Renzi rompe una continuità ammorbante, la linea orizzontale della conservazione. Abbatte la sinistra e la sua soporifera rappresentazione del cambiamento ma svuota la destra di ogni vitalità, le nega il senso di stare in campo, l’annienta nella capacità di reggere il confronto. La destra è divenuta improvvisamente inutile, e Berlusconi un potente quasi pensionato. Il suo grande merito sta in quel che è successo già. Enrico Letta aveva il volto della depressione, oggettivamente incuteva il senso della impotenza. Renzi è l’enfasi. Ha questa percezione esplosiva della realtà e anima quella parte degli italiani che Carlo Levi ne L’orologio definiva “contadini”: quelli che lavoravano, operai, artigiani, borghesi. Quelli che creavano valore, producevano, rischiavano. Gli altri erano i “luigini”: coloro che vivevano di rendita. Ha capito subito e ha occupato il presidio scoperto. Ora riesce a incanalare simpatie straordinarie. Poi certo al governo, specialmente se sarà attorniato da una orchestra di second’ordine, avrà bisogno di riti magici”. Incrociamo le dita. “Cos’altro potremmo fare?”.
da: Il Fatto Quotidiano 21 febbraio 2014