NEL GIORNO DELLA SENTENZA, DAL PDL URLANO TUTTI CONTRO LA MAGISTRATURA. MA NESSUNO, NEMMENO DAL PD, METTE IN DUBBIO LA CONVIVENZA NELL’ESECUTIVO
Urla, parole gravi e ultimative, scene di disperazione democratica, eversione in atto. Come in una grande playstation, la politica gioca con gli effetti ottici, annuncia fulmini accecanti, disegna scenari di guerra, truppe in cammino, sconvolgimenti in arrivo. Una mitragliata di dichiarazioni del centrodestra si inseguono e si sostengono assecondando ogni tono. Il più sentimentale arriva da Angelino Alfano, il ministro dell’Interno in carica: invoca in Silvio Berlusconi che si è appena beccato l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, il suo naturale e inestinguibile senso dello Stato. Lo invita a essere mite con i giudici, responsabile con l’Italia, compassionevole con i suoi elettori: “L’ho invitato a tenere duro, ad andare avanti nella difesa dei valori, degli ideali e dei programmi che milioni di italiani hanno votato”.
È un mondo capovolto, dove metà governo parla di golpe (o lo fa intendere) e l’altra metà si chiude in un silenzio imbarazzato. Dovremmo essere chiamati a imbracciare le armi, se tutto fosse vero. O assistere a una crisi imminente dell’esecutivo, se fosse ragionevole valutare con le parole di Brunetta, capogruppo alla Camera, la condizione della magistratura: “È un atto eversivo contro i principi di legalità”. Infatti, Fabrizio Cicchitto: “È pura eversione”. Con il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri che non sa o non risponde e neanche prova a difendere gli uni o gli altri: “Non commento le sentenze”. Urlano dunque, ma senza far danni. Annunciano cataclismi, ma sono fuochi pirotecnici. Mai come oggi il governo è il tetto sicuro, il rifugio peccatorum, il luogo di compensazione, la grotta dove il potere si ritrova e si allea. Ieri non è stata una buona giornata per il premier Enrico Letta che ha dovuto licenziare, in coincidenza con la terza azzoppatura giudiziaria del suo azionista di riferimento, il ministro Josefa Idem (cognome ridotto per scherno a Imu). Il Pdl, contrariamente a ogni promessa o esibizione, non ha la forza né la volontà di procurare una crisi di governo. E non ha neppure alcuna convenienza a farlo. Il Pd, a dispetto della vittoria alle ultime amministrative, si conferma come aggregato fragile, piattaforma elettorale provvisoria. I risultati delle comunali siciliane che sempre ieri quasi alla stessa ora sono stati conosciuti, confermano il precario stato di salute di questa enorme maggioranza. Che ha bisogno di tempo per risollevarsi.
QUINDI I DEMOCRATICI – silenziosi e tesi – hanno fatto la figura dell’accompagnatore imbarazzato dallo scavezzacollo. Si deve a Nichi Vendola, che non patisce da questo punto di vista questioni affettive, la considerazione logica che una sentenza tanto grave fa venire in mente: “Sarebbe un atto di decoro da parte di Silvio Berlusconi se abbandonasse la politica”. Decoro, vero. Che è conseguentia rerum. In tre mesi B. è giunto a undici anni di galera e ha sommato in perpetuo l’interdizione dai pubblici uffici. Se è corretto dire che sono sentenze di primo grado, quindi ampiamente ribaltabili in favore dell’imputato, è altrettanto inoppugnabile, solare, indistruttibile l’idea che un minimo senso dello Stato dovrebbe indurre al ritiro immediato dalla scena pubblica chi è protagonista di un simile tracollo giudiziario. Invece, e qui di nuovo siamo al mondo capovolto, il vice premier Alfano (che comanda la polizia, compresa quella giudiziaria) chiede a Berlusconi di mostrare il senso dello Stato per l’opposto: non arrabbiarsi, non mandare in malora il governo, non trucidare in piazza i giudici. “Siamo a Teheran” dice Roberto Formigoni con l’ansia di chi è sulla stessa strada del principale. Anche lui è atteso dai giudici, anche lui dovrà difendersi dai giudici. Ora veramente talebani. Parla, e resta insopportabile il suo dolore, anche Mara Carfagna. Come è stato possibile? Chiede Mara. E anche Mariastella Gelmini, addolorata e avvilita, piegata ma non sopraffatta, abbraccia virtualmente il suo Silvio: “Nonostante tutto sei più forte di prima”. Abbiamo visto la Santanchè mettersi le mani nei capelli, e letto la lunga dichiarazione di Stefania Prestigiacomo. Protestano, accusano. Non può finire così. Altre donne elette (l’onorevole Maria Rosaria Rossi, soprannominata dai giornali “la badante di Silvio”, forse per la sua attitudine a gestire ogni necessità presidenziale, e l’onorevole Licia Renzulli) patiscono nella sentenza l’accusa di falsarie. Aver testimoniato il falso per aiutare il capo. Ma è un’appendice che dice poco. Quel che dice di più è il silenzio consapevole e un po’ connivente del Pd. Meno si parla e meglio si sta. Svetta nel silenzio una frase di D’Alema: “L’amore attrae più della politica”. Parla a un convegno su Togliatti e Nilde Iotti, ma tutti hanno pensato a un cenno nei confronti di Ruby Rubacuori che, come si è poi appurato, non era nipote di Mubarak.
da: Il Fatto Quotidiano, 25 giugno 2013