LA METROPOLI DELLA DISILLUSIONE MODERA GLI ENTUSIASMI, MA SCEGLIE IL CHIRURGO. NONOSTANTE TUTTO
Daje e daje Ignazio Marino è sindaco. Nonostante il Pd, le larghe intese, i costruttori romani, nonostante la Chiesa, nonostante Alemanno. È sindaco, nonostante tutto. Sorride come un bambino, un perfetto marziano atterrato a Roma per rinsavirla, anzi per farla sorridere. “Voglio vedere gente che sorride per strada”, dice. Sorridiamo tutti e sorride anche un consigliere municipale rieletto con i capelli anneriti da una tintura troppo decisa. Sorride ma è perplesso. Come sarà questo Ignazio? Se lo chiedono tutti, e principalmente Goffredo Bettini venuto al tempio di Adriano per benedire il suo candidato. Speriamo bene. Il clima è da festicciola riparata, il sindaco sembra un prodotto geneticamente modificato. Lo chiamò Massimo D’Alema in Italia, faceva il chirurgo dei trapianti a Filadelfia, una casistica eccellente (650 casi) e una prova ardimentosa di fede nella scienza con i primi due xenotrapianti della storia, da babbuino a uomo. Regalò settanta giorni di vita ulteriore a un giovane americano praticamente morto, e ventisei giornate a un secondo cittadino. Anche il suo partito avrebbe bisogno di uno xenotrapianto: un po’ di passione al posto di un po’ di tessere. “Vedo tanta gente delusa, e a quella che vogliamo rivolgerci”. Marino è contento se lo chiami professore, ci tiene alla forma e lo fa vedere. D’altronde ci può stare: non millanta nulla. È pignolo e si vede. I suoi collaboratori, con vistosi ecchimosi da contatto, sono sfiniti ma felici.
LUI, ACCOMODANTE: “Chiedo scusa per il mio carattere”. Un vigile urbano (a Roma i pizzardoni costituiscono un ceto autarchico e odiatissimo) lo osserva turbato. Che diavolo di carattere ha? S’arrabbia, s’intestardisce, intigna, batte i pugni. Speriamo che cambi, sembra dirgli muto il vigile osservante. Noi lo guardiamo da lontano. Osserviamo che tolto Nicola Zingaretti, che lo abbraccia ricambiato, tutta la corona plaudente è fuori dal giro entropico di largo del Nazareno. L’effusione più intensa è con una suora in carrozzella. Ci sono solo le bandiere bianche di Marino sindaco, “Roma è vita” hanno scritto, e basta. Tolti noi giornalisti e i cameramen, tolti gli addetti alla sicurezza e le signore delle pulizie, nella sala che celebra la vittoria c’è un ritrovo per pochi intimi. Tra i pochi non manca Rosanna, moglie di Ignazio, che sta sola e persa. D’altronde nessuno l’ha mai vista in giro, mica è Isabella Rauti? E sua figlia? Boh, sembra stia a Londra. Roma non esplode di gioia, finalmente misura la passione col presente. Alle urne ha disertato. Il sindaco è figlio di una minoranza. Ha vinto largamente il confronto nel rettangolo di gioco rimpicciolito dalla rassegnazione. “La disillusione” dice lui. Marino ha votato Rodotà, non Napolitano. E anche questo fatto varrà un poco. Non ha votato Letta ed è contro le larghe intese. Si è dimesso da senatore prima di conoscere il risultato del Campidoglio. Ha giocato pulito, e si vede. E gli vale la prudenza della piazza: due bandiere del Pd, una di Sel. Questo è quanto. “Gli autobus nuovi, che sono in arrivo, devono girare nelle periferie”, comunica. Una inversione simbolica delle emergenze. Si viaggerà con l’aria condizionata funzionante a San Basilio. E’ già una rivoluzione. Il linguaggio di Marino non segue il rito del professionista della politica. Certo, dice: “sarò il sindaco di tutti”, anche il partito mi ha aiutato eccetera. Però poi: “Spero che Roma possa essere orgogliosa di me”. Ed è un bel dire, la voglia di misurarsi con una grande città che è anche una grande questione aperta, un grandissimo imbroglio, una fatica di Sisifo.
IN CAMPIDOGLIO, e nelle sedi derivate e affluenti, campano ottantamila persone o anche di più. Un enorme esercito di volenterosi e scansafatiche, gente perbene e per male. Roma non è una città, è una ferita che sanguina sempre. “È meravigliosa”, dice lui. Ma è anche infinita, troppo larga. “Voglio che diventi una comunità”. Ma è anche piena di faccendieri, palazzinari, sfasciacarrozze delle regole. “Vorrei che mi illustraste, insieme alle criticità, anche le soluzioni”. Da chi? Il romano in genere s’indigna, sfotte sbotta urla “è tutto un magna magna!”. Si vede che è un marziano, è anche genovese, guarderà ai soldi (“Verifiche remo ogni euro speso”) e farà bene. È fuori dal giro. L’abbiamo detto e lo ripetiamo. Quando è arrivato Guglielmo Epifani a intestarsi (con grande misura, in verità) la vittoria, è apparso chiaro chi fosse il padrone di casa e chi l’ospite. Marino potrà fare benissimo e anche malissimo. Incrociamo le dita. E daje!
da: Il Fatto Quotidiano, 11 giugno 2013