Nella discarica politica calabrese spunta un fiore

LA TERRA DEL VOTO DI SCAMBIO, DEL FAMILISMO AMORALE E DEI COMUNI SCIOLTI PER MAFIA GENERA UN’ECCEZIONE : IL TRENTENNE DALLE MANI PULITE DI CATANZARO


Era la città delle vertigini, arroccata appena sopra ai dirupi. Una città d’altura di fronte al mare. “Adesso è orribile, senza dubbio la più brutta d’Italia. Devastata dalla testa ai piedi da un ceto dirigente la cui sovrana ignoranza è spettacolare. Glielo dico con pena, con la compassione ma anche con il senso di rivolta che ancora covo per come la mia terra è stata maltrattata”. Nella galleria della perdizione sociale la tappa di Catanzaro, città natale dello storico Piero Bevilacqua, è irrinunciabile. Domenica e lunedì quaggiù si rivoterà in otto sezioni comunali. C’è un’inchiesta della procura per voto di scambio e una sentenza del giudice amministrativo che obbliga circa 6200 elettori a ritornare alle urne. Brogli, pasticci, schede vidimate, schede scomparse e poi riapparse. Il solito campionario dell’immoralità.
“QUI NON V’È nessun rimorso a contrattare il voto con la promessa di un posto. È tale la fame di lavoro che non esiste più la libera espressione democratica”, dice ancora Bevilacqua. Eppure nella discarica politica calabrese, dove tutto è immutabile e un trust di famiglie mangia indisturbato poltrone e potere da un trentennio, un fiore sta nascendo. A Catanzaro il partito democratico è rappresentato da Salvatore Scalzo, un trentenne con le mani pulite, la voce chiara, una confidenza con gli studi (è ricercatore di scienze politiche a Torino) e con le buone pratiche. Un ragazzo come Salvatore non avrebbe mai avuto semaforo verde dai maggiorenti se la partita fosse stata vincente. Fu scelto, cinque anni fa, perchè si perdeva. Il centrodestra era una miracolosa compagine clientelare, fiorente nell’attività elettorale, capace di occupare ogni angolo della società civile. Vicina ai poveri e ai ricchi, contro la ‘ndrangheta ma pure dai tratti singolarmente compassionevoli nei confronti di alcuni suoi protagonisti criminali. Un partito dello spreco e contro lo spreco. Ignorante e colto. Non si dimentichi mai che la Calabria è governata da Giuseppe Scopelliti, il sindaco del miracolo di Reggio Calabria. Miracolo, certo. La città è stata sciolta per infiltrazioni mafiose ed è sull’orlo della bancarotta. Scopelliti ne porta pena? Macché! È lui l’uomo forte. Questa è la cornice. E dentro la cornice c’è Catanzaro. L’opposizione chi poteva candidare contro la macchina da guerra del Pdl? Un ragazzino. Lui ha accettato di investire il suo tempo e testimoniare qui la fede democratica. Ha atteso la rivincita che qualche mese fa gli è sfuggita di mano per soli 129 voti a causa forse di questa giostra di schede farlocche. “Domenica vinceremo, la voglia di ribaltare la storia è tale che non penso ad altra possibilità”, annuncia Scalzo. Pier Luigi Bersani è giunto in città tre giorni fa per sostenerlo nell’ultimo tratto. Ha fatto bene. Ma avrebbe fatto anche meglio a dare un occhio, prima di licenziare le liste, ai suoi candidati calabresi. Risaliamo a nord, verso Cosenza, e ritroviamo la politica – col benestare anche di Bersani, purtroppo – consegnata alle famiglie, alle mogli, alle figlie, agli ex. Un ginepraio familistico dove l’intero arco costituzionale riconferma i suoi attestati di demerito. Il Pd riconsegnato nelle mani di Nicola Adamo, dispensatore di voti e di potere. Solo che Adamo, in un partito che non conosce la democrazia (infatti si susseguono i commissari) era consigliere regionale del gruppo misto, dopo un ventennio di tutoraggio correntizio. Anche da fuori conta però il suo nome. Si è dunque candidata sua moglie, Enza Bruno Bossio, e tutto è andato a meraviglia. Lei qui, laggiù a Reggio Calabria ancora Marco Minniti, che pure di legislature ne ha fatte e tante, in mezzo un mix di funzionari con la passione sfrenata per le tessere e paracadutati da altre regioni e da altre correnti. Il commissario – il salernitano Alfredo D’Attorre – si è fatto candidare e lascerà la Calabria da deputato, Rosy Bindi è stata catapultata quaggiù come capolista e le nuove leve della politica sono state messe tutte in condizione di non nuocere. Sarà candidato ma non eletto il sindaco di Acquaformosa, paese noto per essere stato teatro della più riuscita politica di integrazione della massa di immigrati che si accalcano alle coste. E chissà se ce la farà Consuelo Nava, una donna protagonista di battaglie importanti. Se Catanzaro era una vertigine della Magna Grecia, Cosenza veniva chiamata l’Atene. Eccessiva ma certo non immeritata la fama.
AD ARCAVACATA resiste e si espande una grande università, e importanti e influenti sono le cattedre, numerosi gli studiosi. Però loro lì, e questi altri a comandare. Nel Pd comanda Adamo come detto, nel Pdl comanda la famiglia Gentile. Tonino è senatore, insuperabile la sua proposta di far assegnare a Berlusconi il Nobel per la pace; suo fratello Pino è assessore regionale ai Lavori pubblici, la figlia Katia ed è assessore cosentino ai Lavori pubblici. Il municipio lo regge Mario Occhiuto, fratello di Roberto, deputato Udc. E persino il partito di Nichi Vendola, che in questa città ha vinto la sfida delle primarie con Bersani, ha concesso i posti d’onore alla solita armata di consiglieri regionali e funzionari d’apparato. “Mi hanno fregato”, dice Enzo Paolini, candidato mancato di Sel che alle ultime comunali ha sfiorato la vittoria. “Mi avevano detto di stare tranquillo, che la mia elezione era strasicura. Poi alla fine, il tranello”. Eva Catizone è stata sindaco di Cosenza, è in lista ma non in posizione vincente. “Sto buona e lavoro. Ma certo, lo spettacolo politico è desolante. Sembra una galleria di morti viventi”. Siamo in Calabria. Così è se vi pare.


da: Il Fatto Quotidiano, 18 gennaio 2013

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