CHI FA IL DISCORSO DI ADDIO E CHI SI ATTACCA ALLA POLTRONA FINISCE L’ERA DI CHI HA CREDUTO A RUBY “NIPOTE DI MUBARAK”
Baci e abbracci, carezze e ricordi. “Posso chiedervi una foto?” domanda il varesino Daniele Marantelli a Walter Veltroni e Massimo D’Alema. Sono stati i suoi leader, hanno dominato nel partito e in Italia sono stati riveriti e ascoltati per più di un quarto di secolo. Conserverà la foto sull’iPhone, oggi la mostrerà alla moglie e agli amici. D’Alema e Veltroni, compagni e nemici, o anche fratelli coltelli, se ne vanno, lasciano prima che il tempo consumi loro e il rancore faccia peggio. La storia siamo noi, si certo, ma anche quella di Domenico Scilipoti, volto conquistato al teatrone della politica: “Il Signore misericordioso se vorrà mi concederà di tornare qui. Io sono nelle sue mani”.
Fede e speranza e carità. Questa legislatura è stata immolata a Ruby e all’indimenticabile discorso dell’onorevole Maurizio Paniz: “Chi può dirci che la signorina non possa essere la nipote di Mubarak?”. Votarono in tanti quella bugia, alzarono le mani di fronte a tanta vergogna e si fecero contare. Escono dalla porta di destra dell’aula i parlamentari del centrodestra, coloro che ebbero il fegato di giurare su Ruby e su Mubarak. Ecco le amazzoni di Silvio, appena più preoccupate: Nunzia, Jole, Gabriella, Elvira. E Micaela, Rosaria, Stefania, Marianna… Si abbracciano e verrebbe voglia di una lacrima. Che non sarebbe però la stessa di Livia Turco, triste comunista piemontese. Era una ragazzina quando venne qui, oggi abbandona: “Mio figlio Enrico è contentissimo”. Le mamme sanno sempre come nascondere il dolore. Lascia lei, ma forse non Razzi, un altro galantuomo, dipietrista di ferro e poi berlusconiano di ferro: “Non ci tengo, ma se dovesse succedere di ritornare…”. Lui è qua e qua è anche Maurizio Grassano, da Alessandria: “A Berlusconi non ho chiesto soldi, ma solo una ricandidatura. E me l’ha promessa e i patti si mantengono”. L’affetto va saldato, e con gli interessi. Nessuno vuole pensare al peggio, che le parole possono essere anche vuote come carezze bugiarde. “Consegno a Berlusconi un debito di riconoscenza” dice con grandiosa democristaneria Riccardo Villari, prima nel centrosinistra e poi nel centrodestra. “Sono un paraculo e credo di cavarmela anche questa volta, ma certo Monti ci fa penare. Adesso sembra che non voglia più candidarsi”. Questo è Renzo Lusetti, campione centrista. Quelli che stanno al centro oggi paiono i più bastonati, e anche preoccupati e nient’affatto sorridenti. Meglio a sinistra, tutti pensano che ce la faranno, il partito veleggia oltre il trenta per cento e il posto è assicurato. Certo, esistono anche le anime in pena e Anna Paola Concia è una di quelle. Vaga e non si rilassa, parla ma non è serena: “Se non mi inseriscono nel listino per me è finita. Le primarie dove dovrei farle? Nella mia circoscrizione di Bari? Ma non ho un numero di telefono, una sola possibilità di riuscirci!”.
La preghiera va indirizzata a Bersani, che d’ora in avanti aprirà il grande libro delle suppliche e deciderà: tu nel listino bloccato, tu fuori. Colpisce di questo Parlamento anche la quasi assoluta equivalenza tra il bene e il male, il numero degli indagati e quello degli incensurati fa forse patta, e le cattive persone sviluppano un simmetrismo parallelo con le coscienze pulite. Colpisce il numero dei cattivi, colpisce la questua, e colpisce la dignità: “Ho 67 anni e ho dato tutto alla politica, torno a casa convinto di essermi impegnato per il bene del Paese”, dice Pierluigi Castagnetti. Colpisce il discorso di Veltroni, in alcune parti denso, sentito: “Sarò sempre grato all’esistenza del pensiero degli altri che è quello che salva il mondo”. Va D’Alema a congratularsi e ad abbracciarlo, e l’applauso della sua parte è fiero, finalmente libero.
CHIUDE IL PALAZZO mentre la città si anima per gli acquisti di Natale, ma non c’è curiosità, voglia, piacere di raccogliersi davanti al suo portone. Snobbato, deriso, ignorato. E’ questa la legislatura più cupa che la democrazia italiana abbia conosciuto, lordata dalle azioni pubbliche più scandalose e dalle leggi più inique. Nessuno ricorda più, nessuno ha memoria. Si abbracciano: “Dai, che ce la facciamo di nuovo” e sembrano turisti per caso.
da: Il Fatto Quotidiano, 22 dicembre 2012