Lasciare questo posto è come dire a un prete di restituire la tonaca. É difficile capire la mia condizione e non voglio esagerare: ma senza la politica io muoio. Non ho faccende da sbrigare, né clientele, né tessere né affari. É questa aria che temo mi manchi, l’ossigeno che ti fa campare”. Dev’esserci amore e chi vuole ci creda. Cesare Marini ha superato da un po’ la settantina, agiato di condizione e con un portafoglio di legislature plurime. Eppure non ce la fa a dire addio. Ha chiesto la deroga al Pd, che gliel’ha data iscrivendolo nel registro degli anziani, i cosiddetti veterani. C’è qualcosa che oltrepassa il potere e prende la testa, un registro mentale che – malgrado tutto – respinge l’idea di archiviare il Palazzo persino quando esso sia finto, magari appariscente come quei fondo tinta che celano il viso sciupato e ferito dagli anni. La cattiva reputazione della politica sembra non sia sufficiente a far mollare la presa. Pochi si ricordano tra coloro che hanno smesso, hanno rotto l’incantesimo. Per esempio Raffaele Della Valle, l’avvocato di Tortora, capogruppo agli albori berlusconiani. “Avvocato ero e avvocato torno ad essere”. Così lui, e così ha fatto – per un solo tempo –Giuliano Pisapia, terminato il mandato è tornato a Milano, nel suo studio. Ma ci è rimasto poco.
L’ISCRIZIONE d’ufficio alla “casta”, senza riguardo alle singole posizioni e alle singole reputazioni, ha condotto un notaio abruzzese affermato e famoso a negare, nella carrozza del treno, di essere parlamentare. “Lei si sbaglia, signora”, disse alla viaggiatrice curiosa. E ricacciò in tasca il tesserino del Palazzo che gli avrebbe consentito di viaggiare gratis: “Mi presi la multa, e ancora me ne vergogno. E la mia vergogna è tanta che la pregherei di non far cenno alla mia identità”. L’impegno è rispettato, ma la domanda resta. Perchè? Passano gli anni e si dimentica. Ma ai tempi della guerra in Iraq Maurizio Scelli era l’eroe italiano. Detentore di ogni potere nella Croce rossa, plenipotenziario per liberare gli ostaggi nel teatro di guerra. E ora? Scelli chi? “Sto su questa poltrona a non far nulla. Fini mi disse: hanno una Ferrari come te e la tengono in garage. Mi sa di sì, e mi spiace. Si vede che non servo”. Il professionista rispettato che diviene, da politico, peone derelitto, deputato senza ruolo e senza riguardi, è una specie assai vasta e ha caratteristiche singolari. Serve l’ambizione, servono le relazioni, la costanza, la tenacia, molte volte, forse troppe, la fedeltà cieca. “Non passa mai il tempo qui. Il sogno muore ogni giorno e si riaccende il giorno seguente. Questo posto è visto come snodo centrale per relazioni importanti che in qualche modo arriveranno. Si spera, si spera e si spera. Mai nessuno desiste”, dice Franco Laratta, deputato di Cosenza. Non si desiste per motivi nobili o ignobili. Prima di affrontare l’ultima campagna elettorale, nelle ore frenetiche delle liste dell’Ulivo, a piazza Santi Apostoli, sede del comitato, un’auto restò parcheggiata tutta la notte. Due deputati uscenti decisero di vegliare sul loro futuro nel modo più teatrale possibile: avrebbero atteso il leader appena avesse messo piedi al suo ufficio, anzi prima che potesse entrarvi in modo da essere certissimi che la loro causa non sarebbe stata sabotata dagli intermediari. Nessuno oggi sembra avere la forza di Arturo Parisi, che se ne torna a Bologna a insegnare politologia. Certo, ci sono D’Alema e Veltroni “ma loro non fanno testo, hanno una riconoscibilità così alta che possono permettersi questo lusso. Ma io?”. É sempre Cesare Marini, il veterano, a spiegare le ragioni dei veterani. Come Aurelio Misiti, un burocrate di altissimo corso, presidente del consiglio superiore dei lavori pubblici e professore all’università. Ingegnere, potente per decenni, ha fatto tutto quel che voleva. Eppure è qui, ancora qui. “Sogno di fare il sottosegretario con delega alla ferrovia Salerno-Reggio Calabria. Per me è questione di vita, e darei tutto, anche il seggio, se mi indicassero là. Io so come fare, capisce? Io so dove trovare i finanziamenti, mi comprende? Io so di essere l’uomo giusto al posto giusto. E non mi dò pace, e quindi insisto, insisto, insisto”.
CI DEV’ESSERE pur qualcos’altro oltre l’indennità. É meglio essere ultimi a Roma che primi nella tua città. “E poi contano le riverenze, gli inviti del prefetto, le serate al ristorante, le relazioni con i giornalisti. La vanità è una afflizione. E se ci scappa anche un po’ di bella vita, beh il quadro è completo. Malgrado tutto c’è un posto più bello di questo?”, domanda ancora Laratta. Esistono armate di avvocati e di magistrati, e quest’ultimi sembrano i militanti più convinti del Parlamento.
da: Il Fatto Quotidiano, 19 dicembre 2012