Al Bocelli negazionista non bastano neanche 35mila morti

 

Forse è l’enormità del numero dei morti, trentacinquemila solo in Italia, a farci pensare che rifiutare il mistero di questo virus misterioso sia un modo sapiente di governarlo, gestirne gli effetti anche psicologici, tenere a bada la paura e anzi allontanarla da noi. Forse è anche l’impellenza della politica di trovare un ruolo per chi è all’opposizione a scegliere, come terreno di scontro, il virus. Cosicché, ora che si avvicinano le elezioni, si potrà stare di qua o di là. Chi col governo per dire che è pericoloso e mortale e chi con l’opposizione per statuire il contrario? Dovevamo giungere a questo punto, anzi a questo livello e sentire da un uomo fortunato e di talento indiscusso come Andrea Bocelli che nemmeno uno dei suoi migliaia di amici in tutto il mondo è finito in terapia intensiva. E dunque: il virus è davvero così pericoloso?
Bocelli queste sue incredibili affermazioni le ha pronunciate nel palazzo del Senato, l’istituzione che in questi mesi ha ratificato, deliberato, commentato, approvato decine di misure di limitazione della libertà personale come estrema tutela della salute pubblica. La discussione sul diritto supremo alla libertà personale o la legittimità della sua compressione quando in gioco è l’integrità del nostro corpo, non poteva finire peggio. Con Vittorio Sgarbi alla presidenza del convegno dei “negazionisti” a redigere la Costituente del no, e Matteo Salvini in platea a rifiutare di indossare la mascherina come prova principe che egli – non a caso – è il capo dell’opposizione parlamentare.

I trentacinquemila morti non li conosciamo più. Sono seppelliti ormai. E non ricordiamo neanche la prova empirica, visiva, fattuale, delle conseguenze di chi si è avventurato a impartire lezioni di disubbidienza civile. Boris Johnson, il primo ministro britannico, è stato a un passo dalla morte, Bolsonaro, il presidente demagogo del Brasile, si è infettato e si è rivolto alla scienza, contro la quale faceva singolare opposizione, per non finire nel luogo, appunto il reparto di terapia intensiva, del suo collega inglese. Non ci basta la scienza, che pure ha difficoltà a illustrare i confini di questa malattia, non basta la realtà dolorosa ed estrema di cui siamo stati spettatori, non basta il principio di precauzione al quale dovremmo far ricorso. Non ci basta più nulla. Siamo semplicemente stufi di usare la ragione.

Da: ilfattoquotidiano.it

Benedette le condizionalità sul Recovery Fund: adesso dimostriamo di saper spendere più di 200 miliardi in tre anni

 

Benedette le condizioni, io dico. Perché i soldi arriveranno, e saranno tanti. Più di 200 miliardi da spendere entro il 2023. Una enorme massa da investire in tre anni soltanto. È questo tempo che dovrebbe metterci ansia, impaurirci davvero. Perché in tre anni spesso non riusciamo nemmeno ad appaltare un’opera, forse neanche a rendere esecutivo un progetto. È la dimensione del tempo, il valore che diamo al tempo, e anche la responsabilità nel renderlo efficiente la più grande ipoteca alla riuscita del Recovery Fund, lo strumento europeo di emergenza per resistere alla crisi e superarla.

La mestizia o la preoccupazione con la quale passiamo in rassegna le cosiddette “condizionalità”, il controllo appunto di come spendiamo i quattrini, è assai singolare. Mica ce li danno per fare tutti una grande festa? Magari una gita a Formentera? E il fatto che una parte di essi (81 miliardi di euro) siano a fondo perduto impone ai nostri soci di capire come la solidarietà europea verrà impegnata. Obbliga noi nei loro confronti, come ciascuno dei Paesi nei confronti della comunità.

Benedette le condizioni, perciò. Non dovremmo preoccuparci di spendere i soldi secondo gli impegni e gli obiettivi indicati a Bruxelles. Non dovremmo avere nessun timore da un controllo, se esso naturalmente non divenga ostruttivo.

Il terrore mio è che gli italiani debbano essere impauriti da se stessi. Dalla cronica incapacità di onorare gli impegni, di rispettare i tempi, di abbandonarsi alle furbizie (o peggio alle bustarelle) che tanto peso hanno avuto nella dimensione civile della nostra storia contemporanea.

Il problema siamo noi. E la soluzione al problema siamo sempre noi.

Meglio che ce lo diciamo adesso. E meglio, molto meglio, faremmo a non trovar scuse domani.

 

Da: ilfattoquotidiano.it

Autostrade, il diritto del governo di revocare la fiducia: finalmente qualcuno paga

 

Quanti anni indietro dobbiamo tornare per rammentare un governo che impone a un grande gruppo industriale e finanziario di assumersi le responsabilità delle proprie azioni e omissioni? Non ce lo ricordiamo, purtroppo. Dobbiamo fermarci ai governi di Amintore Fanfani negli anni del grande boom industriale? O andare ancora più indietro e fissare l’obiettivo al secondo dopoguerra? Perché questo è il punto. Comunque la si pensi di Giuseppe Conte, e spesso non fa pensare bene, la decisione del consiglio dei ministri, terminato qualche ora fa, che estromette i Benetton dal controllo di Aspi, escludendo i capitani d’industria veneti (capitani coraggiosi, eh?) dal diritto di sedere nel consiglio di amministrazione, sancisce un principio sconosciuto in Italia.

Che cioè il governo ha diritto di chiedere conto. E ha diritto di revocare la fiducia nei confronti di chi gode di una concessione pubblica, se ne ricorrano le condizioni. E c’è qualcuno che può difendere l’operato di Aspi? Qualcuno che possa negare che la società concessionaria della maggioranza della rete autostradale italiana abbia goduto di condizioni di assoluto, straordinario e illegittimo favore? Qualcuno che possa negare che dalle tariffe i Benetton come gli altri soci abbiano ricavato profitti esagerati senza curarsi di investire il minimo sindacale in sicurezza?

Il fatto che per prenderne atto siano dovute morire 43 persone sotto il peso del ferro arrugginito e del cemento divenuto sabbia del ponte Morandi, misura la forza del cosiddetto capitalismo di relazione, la vastità della rete di solidarietà, quando non proprio di connessione.

Perciò oggi è un buon giorno. Perché finalmente, e per la prima volta, qualcuno è chiamato a prendersi la responsabilità e in qualche modo a pagare.

 

Da: ilfattoquotidiano.it

Ponte Morandi, la gestione ad Autostrade è una beffa: la lobby che la protegge è legata ai partiti e il Parlamento non ha cambiato norme

 

È allarmante che solo Cinquestelle e Leu scelgano di stare dalla parte della logica. Può chi ha operato con colpevole e continuata negligenza essere chiamato – seppure in una forma provvisoria e condizionata – a gestire di nuovo il ponte? Non sono solo i 43 morti di Genova ad essere offesi da questa scelta, ma chiunque creda nel senso minimo e persino naturale della giustizia.La concessione provvisoria, come scrive la ministra De Micheli, è obbligata dalla legge. Non si sarebbe potuto fare diversamente stando così le cose. E perché le cose stanno così? Perché in tutti questi mesi il Parlamento non ha provveduto a cambiare la normativa che oggi impone questa beffa, questa ingiustizia così grande? Dovrebbero dirlo tutti quei partiti, a parte i Cinquestelle e Leu, che in modo gattopardesco hanno sostenuto le ragioni della concessionaria, impossibili da condividere, incredibili da spiegare. Perché il punto non è naturalmente la garanzia che i lavoratori di Aspi avrebbero comunque avuto diritto alla conservazione del posto, ma il principio di responsabilità, quello di giustizia, il senso collettivo di restituire all’Italia, che da quella catastrofe ha subito un danno enorme, l’onore prima ancora del risarcimento del danno.

La verità, purtroppo, è semplice e amara: la lobby che in qualche modo ha steso una rete di protezione intorno ad Aspi, la società dei Benetton, è assai più potente del potere costituito e si dirama, attraverso robuste connessioni, dalla maggioranza all’opposizione.

PdForza ItaliaItalia Viva, e persino Lega e Fratelli d’Italia hanno sonnecchiato, curando che la pratica in qualche modo non inguaiasse più di tanto i responsabili del guaio. Motivazioni di natura economica (il ristoro per miliardi di euro al concessionario in caso di revoca anticipata) ha coperto la scelta di dire e non dire, fare e non fare.

Il tempo è passato e oggi siamo qui a commentare questa beffa.

Da: ilfattoquotidiano.it

Coronavirus? È finito per nostra decisione. Polemiche sulle mascherine e ora nessuno le compra più

 

Ma quanto siamo sbruffoni noi italiani? Che rispetto abbiamo delle parole che noi stessi diciamo, delle paure che noi stessi avanziamo, delle richieste, petizioni, raccomandazioni, a volte vere e proprie suppliche? Abbiamo iniziato massacrando il commissario all’emergenza Domenico Arcuri, colpevole di non farci trovare le mascherine. Poi colpevole di aver obbligato il libero mercato (sic!) a vendere a cinquanta centesimi ciò che ne costa sedici. L’abbiamo chiamato in tutti i modi, in una villania pari solo alla nostra irresponsabilità. Insulti, dileggio, qualcuno (il famoso Codacons?) scommetto l’avrà anche denunciato per procurato disastro. Erano i giorni in cui tutto il mondo le cercava senza trovarle. Adesso stanno su tutti gli scaffali, al prezzo giustamente calmierato. E qual è la novità? Nessuno le compra più. Non servono più! Tracollo delle vendite, dicono i farmacisti. Ieri urlavamo di paura, oggi sghignazziamo felici, tanto è tutto passato.
È finito il Covid per nostra decisione, ma fino a ieri l’altro ci pareva incredibile che il governo non avesse provveduto a una seria indagine epidemiologica. Capire quanti – asintomatici e no – fossero entrati in contatto col virus. È stato finalmente incaricato l’Istat di provvedere a formare un campione di 150 mila concittadini, rappresentativi dell’intera popolazione, sul quale fare il test. In due mesi non si è riusciti a realizzare l’indagine. Il telefono squilla a vuoto, anche quindici volte allo stesso numero. In due mesi a malapena 90mila hanno risposto, poco più della metà. E i reagenti che l’Istituto superiore della sanità aveva ottenuto gratis da una casa farmaceutica scadono il prossimo 10 luglio. Indagine azzoppata, test buttati, tempo sprecato, soldi bruciati.E Immuni? Il sistema di contat tracing così caro alle nostre vite, noi che siamo sempre con lo smartphone in mano e facciamo tracciare dalle grandi piattaforme anche la posizione esatta del bidet, siamo divenuti improvvisamente diffidenti. La Meloni e Salvini avvertono: “Attenti, ficcano il naso nella nostra privacy!”. Dopo due mesi solo due milioni e 400 mila hanno scaricato l’app. In Germania sono oltre quindici milioni. Altri soldi sprecati, fatica bruciata, ingegno mandato al macero e soprattutto sistema di difesa dal virus reso inefficace.

Ma se siamo così inattendibili, così enormemente incapaci di tenere un comportamento minimamente coerente, di tener fede alle nostre stesse promesse, perché dovremmo essere credibili quando invochiamo aiuti economici, denunciamo una crisi inarrestabile e paurosa, supplichiamo l’intervento urgente dello Stato?

Perché il governo dovrebbe essere migliore di noi che l’abbiamo scelto apposta uguale a noi?

Da: ilfattoquotidiano.it

Modello Scampia: stupiamoci del bello, per una volta

 

Tutti a parlare di un modello Genova. Ma esiste, ed è una fortuna in più per l’Italia, anche un altro modello, quello di Scampia di cui, ingiustamente, poco si parla e si sa. I lavori di demolizione della famigerata Vela Verde, il simbolo di Gomorra, iniziati il 20 febbraio scorso, si sono conclusi due giorni fa. Tempi rispettati nonostante il lockdown che ha imposto l’interruzione della attività del mastodontico becco d’acciaio. L’opzione dinamite, per motivi tecnici, era stata infatti accantonata. Scompare la cartolina del Male, il quartier generale della criminalità, dei diseredati arruolati nell’esercito della camorra, e compare, quasi nello stesso giorno e a poche centinaia di metri di distanza, la sagoma oramai ultimata della nuova Facoltà di Medicina della Federico II di Napoli. Costruita nel luogo in cui, negli anni passati, fu abbattuta la Vela H (delle sette esistenti tre erano già state demolite). Medici invece che corrieri della droga, bisturi invece che pistole. Restart Scampia si chiama il progetto di riqualificazione e rigenerazione urbana che avanza rispettando incredibilmente le promesse. Stupiamoci del bello, per un volta.

Da: ilfattoquotidiano.it