Il cucù di Giorgia a Matteo dovrebbe essere un cucù finalmente amichevole, anzi solidale. Lei giunge al Senato e si sistema nella tribuna ospiti mentre lui sta procedendo sulla via del martirio. Non scappa più dai giudici ma va loro incontro, si piega al processo, e dunque accetta il verdetto, e sfida il carcere in nome del popolo italiano che gli ha chiesto esattamente quel che lui ha fatto. Sfidare le leggi, anzi violarle.
Il fatto è che per la prima volta la Meloni, scalpitante pin up del centrodestra, alleata ma non troppo, si trova in alto e lui in basso. Nel senso tecnico dell’inquadratura, per via dell’architettura del Palazzo. Gli ospiti sono sistemati sopra le teste dei padroni di casa. E per la prima volta è lei a selfizzarsi, spiegando che lo fa per manifestare la solidarietà a lui, mentre lui, che con i telefonini è un maestro, ed è campione della comunicazione digitale, legge sui fogli di carta pur di non dimenticare nulla, ma dunque già arretra la sua arringa difensiva in un clima da Novecento.
La presenza di Meloni quindi invece di aiutare, disturba un pochetto. Il protagonista è lui, non lei. La presenza incide poi sul pathos (“Forza papà, mi hanno scritto i mei figli”, sta dicendo lui quasi commosso mentre lei manovra il cellulare), e un po’ disorienta e distrae purtroppo. Tutti guardano lei. Tutti tranne chi dovrebbe, cioè lui, impegnato a fare al meglio ciò che sa fare meglio: il comizio.
Giorgia che dichiara solidarietà a Matteo proprio quando sembra averne le tasche piene e lo accusa di essere aggressivo, è insieme una bugia e una verità. Fratelli d’Italia avanza nei sondaggi proprio quando la Lega sembra declinare, confermando che nel centrodestra i voti si spostano come se avessero le gambe di un Mennea: da qui vanno lì, e poi da lì vanno qui. Perciò il cucù dev’essere affettuoso a parole, e infatti Giorgia è zuccherosa (“Ha fatto ciò per cui gli italiani lo hanno votato”) ma anche fastidioso, vicino ma lontano, amichevole ma anche ostile. La questione è che Giorgia fa cucù e per giunta da lassù.