C’è qualcosa di più barbarico, primitivo, violento di ciò che ha fatto Matteo Salvini ieri a Bologna? “Alcuni cittadini dicono che lei è un pusher. Mi fa salire così spiega?”. Così l’ex ministro dell’Interno pur di arraffare i voti dei disperati, dei diseredati, di chi è vittima della droga, di chi spaccia e dei tanti che sono gli “spacciati” delle periferie italiane, citofona all’imputato del popolo, anzi al condannato dalla piazza. I giornalisti che lo circondano, vergognosamente silenti, intravedono nella mossa del leader leghista uno “show” e attendono festosi che il confronto porti a qualcosa di buono. Magari un pugno in faccia, un ceffone, delle manette finte, qualcosa di spettacolare e memorabile. E di show colpevolmente parlano i giornali, interpretando la barbarie come una sceneggiata televisiva.
Invece dobbiamo tutti vergognarci. E non già perché siamo sicuri che il tizio, l’immigrato tunisino regolarmente residente, abbia una condotta irreprensibile. Lo dovrebbe sapere la polizia, spetta a lei il compito, nel caso, di citofonare. Il problema vero è che non ci assale la vergogna perché l’azione di Salvini è così grave, civilmente così putrida, da farci domandare: ma dove siamo finiti? Ma dove stiamo andando, dove arriveremo?
Se basta una voce di “alcuni cittadini” per screditarci pubblicamente, se siamo entrati nella fase dell’arresto popolare, che ne sarà di noi?
Il tunisino sarà colpevole o innocente, io non lo so. Quel che è certo è che noi siamo sicuramente colpevoli di scambiare quel rito barbarico per uno show.