Giornalisti o tronisti? Un mestiere in crisi di identità

E tu che mestiere fai? Se me lo chiedessero avanzerei con qualche preoccupazione la risposta. Negli ultimi tempi, forse per far fronte a una crisi di identità e anche di reputazione, il giornalista tenta di allargare il campo delle sue incursioni puntando decisamente all’arte, allo spettacolo, a quel tipo di intrattenimento leggero che gli consenta di spaziare da Flaubert a Flaiano, interpretando anche prove di pura comicità. Colpa della televisione forse che ci conduce, persino a nostra insaputa, sul fronte del teatro di strada, occupanti e non più osservatori di quel bar di periferia in cui spesso si trasformano i social, dove le parolacce, insieme alle fregnacce, condiscono il pensiero dominante. Tutti (o quasi) giornalisti o invece e piuttosto tanti (troppi) aspiranti umoristi, cubisti del pensiero, teatranti di quarta serie, sceneggiatori di format ultra faziosi, di ricostruzioni fantastiche e interpretazioni originalissime. Ogni opinione va rispettata e naturalmente la libertà nell’esprimerla contiene in sé anche la legittimità a rappresentarla in forme più spettacolari. A patto di essere continenti, trovare anche il tempo di documentare con i fatti quelle opinioni, e ricordare sempre che siamo solo giornalisti. Non lobbisti. Non tronisti.

da: ilfattoquotidiano.it

Tutto il tempo a censire le buche di Roma e non ci siamo accorti dei buchi d’Italia

Il dito e la luna. Siamo stati due anni a contare le buche di Roma, così concentrati sui vuoti tecnici della Capitale e le incompetenze di chi la governa, da non accorgerci delle voragini dentro cui sprofonda l’Italia e con lei noi. Come un grande effetto ottico che devia la vista e anche le percezioni, la grande guerra (in qualche caso più che meritoria) mossa contro la giunta Raggi, ha coperto, nascosto, fatto ignorare, tenuto in freezer lo scandalo dentro cui oggi ci siamo infilati. Non c’è un ponte che si tenga in piedi, non un costone di montagna che non annunci una strada che non si interrompa.

Ci siamo accorti tutto a un tratto che Autostrade, il maggiore concessionario privato italiano, leggeva i report che segnalavano pericolo e poi li richiudeva. Chi controllava? Vattelapesca! E Anas, che ha condannato la Sicilia e tre quarti del Meridione a tenersi la ruggine o, al più, chiudere o sbarrare la via al passaggio? Chi è che si è scandalizzato? Quanti di noi hanno protestato e quanti hanno dormito? Abbiamo trascorso più tempo a segnalare la goffaggine dell’ex ministro Toninelli che i ladrocini di chi lo aveva preceduto, dell’ignavia dei supertecnici, della irresponsabilità dei super commissari. Chi chiede il conto del Mose di Venezia lasciato al destino di un’opera immaginata male e venuta su peggio, chi chiede il conto del tempo passato a contenderci la grande Tav, il futuro alle porte!, piuttosto che impiegarlo a comprendere le ragioni delle mille opere, grandi e piccole, rimaste al palo? Quanti programmi, e inchieste, e confronti e polemiche.

Quello era il dito.

Poi la luna? Il ponte Morandi cascato sulla testa di Genova per incuria. Quanti sono stati i cittadini e i leaders politici, gli opinionisti, i mecenati e gli uomini di cultura, i professionisti, l’élite e le masse, a invocare la rescissione del contratto per grave inadempienza? Voci isolate, a volte imbarazzate. Un colpetto di tosse e via.

Adesso che con le piogge torrenziali e neo tropicali tutto casca giù, adesso che ci accorgiamo di non avere progetti esecutivi e cantierabili, ma solo promesse, capitoli di spesa senza computi metrici, adesso vorremmo fare in fretta, concludere magari tutto con un decreto legge.

L’acqua è l’oro blu, si dice. Siamo inzuppati d’acqua, bagnati dalla testa ai piedi, eppure intere zone d’Italia devono fare i conti con i razionamenti idrici. Ci allaghiamo e l’acqua che riceviamo nemmeno riusciamo a mantenerla nei nostri invasi, la sprechiamo in condotte bucate molto più delle strade di Roma. Seguiamo il filo illogico delle nostre ossessioni dentro le quali però ci perdiamo. Poi forse imprechiamo. Infine, rassegnati e persi, ritorniamo alle nostre polemiche quotidiane. Puntare al dito e non mirare alla luna.

da: ilfattoquotidiano.it

Una Expo per Taranto: trasformare la disgrazia in una magnifica avventura di rigenerazione urbana

Perché non provarci? Perché non provare a fare di Taranto la piattaforma permanente del modo in cui la scienza e la tecnologia possano far convivere il lavoro con la salute? Perché non immaginare che la città divenga il punto esatto, il luogo geografico dell’eccellenza?L’ex Ilva è un’azienda che nessun imprenditore oggi vuole, perché non produce utili, e che buona parte della città rifiuta, perché esporta solo veleno.

Eppure l’acciaio serve. Serve all’industria italiana e serve all’economia del nostro Paese. Non sono in gioco solo i posti di lavoro, che con l’indotto producono comunque la cifra monstre di ventimila addetti, ma in gioco ci sono la qualità, la forza, la capacità di sviluppo dell’economia nazionale. E poi chiudere l’altoforno non significherebbe arrestare il veleno. Che anzi, anche a fornaci spente, si insinuerebbe nelle viscere della città rendendo ancora più acute la crisi sanitaria.

Se dunque è necessario che quell’industria viva, è indispensabile che resti in vita anche la città.

E allora l’esposizione universale servirebbe a dire al mondo intero come l’uomo è capace di mitigare fino a rendere compatibile con la salute pubblica un’azienda.

Lo Stato ha in cassa il miliardo e mezzo di euro confiscato ai Riva. Finora ne ha utilizzato una parte. Certo, non basterà quella somma per avviare la bonifica, ma sarà già una cifra che potrebbe segnare un buon inizio.

Potrebbe servire anzitutto ad allontanare Taranto da quella industria. Avviare un programma di trasformazione urbana, delocalizzare il quartiere di Tamburi verso est, recuperare la città vecchia, il magnifico centro storico ora fragile e consumato come un dente cariato e parallelamente avviare la bonifica dei terreni su cui sorge l’Ilva. Servono braccia e competenze. Il mercato oggi chiede meno acciaio? I lavori di bonifica e trasformazione urbana sarebbero l’utilissima e preziosa occasione per non lasciare gli operai senza lavoro.

L’esposizione universale, un modo straordinario per affrontare una situazione straordinaria, servirebbe a coinvolgere il Sud dell’Italia, che oggi è la regione europea più disabitata e depressa, in una operazione entusiasmante di rigenerazione urbana e produttiva. Ne trarrebbe vantaggio il Mezzogiorno e ne godrebbe anche il nord. Ricordiamo sempre che ogni dieci euro spesi al di sotto del Garigliano, almeno quattro ritornano al di sopra di quella linea di confine. Il Nord ha il know how che serve al Sud.

Se lo terremo a mente, avremo la possibilità di trasformare quella che oggi ci appare come una disgrazia, in una magnifica e fortunata avventura.

da: ilfattoquotidiano.it