“Non mi sottovalutate: sono pronto per il nuovo partito”

Il governatore della Liguria di Forza Italia in guerra con i “vecchi” del centrodestra: “Non voglio sprofondare nell’abisso con voi”
ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI

“Io dico: non sottovalutatemi”

Giovanni Toti sembrava un politico venuto male, più che uno statista un pesce d’aprile. “Un arredo nella grande casa di Forza Italia?”

La Liguria prima di Toti era un intermezzo, un vuoto tecnico tra la Toscana e la Costa azzurra. Ci si ricordava dei liguri solo per Sanremo. Invece ora la Liguria è sempre in tv.

Sono bravo, eh?

Anche fortunello. Le catastrofi, le inondazioni non le hanno portato guai.

La mareggiata di Portofino, il ponte Morandi.

E sbuca sempre lei!

Con la mareggiata di Portofino abbiamo dato il meglio.

Sembrava un salumiere

Per via del mio piacere di stare in tavola?

Non si capisce come Silvio Berlusconi abbia potuto fidarsi di uno come lei, ghiotto di ogni leccornia, pingue. Lui vuole maschi alfa: slanciati, pieni di vita, di energia, anche di quel pizzico di trasgressione.

Mai ipocrita, mai acceso nei toni, sempre educato, conviviale, disponibile alla concertazione.

L’unico transfuga che non ha avuto bisogno di cambiare partito. Incredibile Toti.

Ragiono su quel che vedo: i miei amici di Forza Italia si stanno spartendo l’ultima fettina di torta. Si era al 25, poi al 20, al 15, al 10, prevedo come prossima tappa il 7%.

Iettatore.

Analizzo la realtà, guardo, ascolto la gente. E mi dico: io non mi farò annientare. Se vogliono toccare l’abisso, prego. si accomodino.

Il partito di Toti.

C’è un grande bisogno di una forza moderata, equilibrata, né di là né di qua.

Il partito gnè gnè: gnè di sinistra, gnè di destra, gnè razzista, gnè europeista, gnè sovranista.

Il partito del “ma anche”. Ricorda Veltroni?

L’Orso Yoghi s’è messo in testa strane cose.

Un nomignolo benevolo. È simpatico l’orso e poi ruba il paniere con le merendine.

Lei è transformer: leghista sotto mentite spoglie.

Ma quando mai! Di centro. Al centro del centro. Né razzista ma neanche arrendevole con gli immigrati. Vicino agli operai ma anche agli imprenditori. Per la sicurezza, ma anche per le libertà civili.

Un Forlani riuscito male.

Ma ha visto che ho fatto in Liguria?

Mara Carfagna le ha promesso bastonate. Non si sputa nel piatto dove si è mangiato.

Non attendo di sprofondare nell’abisso. Domando: gli italiani vorrebbero farsi governare da quelli là? Non aspettano altro che far tornare quelli là? Ma chi è che le pensa queste panzane?

Sentiamo la sua idea.

Far ritornare al voto la gente che adesso sta con Salvini (che pure stimo molto) per disperazione. Gli dobbiamo confezionare una nuova opzione di centro, moderata, classicheggiante. Un bel vestito, insomma.

Già scordato Berlusconi.

Io voglio bene a Berlusconi e non mi permetterei mai.

Voleva bene anche a Matteo Renzi.

Gli ho invidiato l’energia, la capacità di affermare una novità.

Lei è grigio, usa un linguaggio novecentesco. Lei fa annoiare.

Io sono educato e anche se mi dice queste cose cattive non mi offendo. Sono invece certo che gli italiani apprezzino l’equilibrio, la capacità di mettere insieme il Paese, di tagliare le ali estreme.

Mettiamo che la caccino da Forza Italia.

Se vogliono, possono.

Basta un alito di vento che cambia e le sue fortune cascano come arance al tempo della raccolta.

Non ho paura del futuro.

Giornalista non lo potrà fare più. Mediaset non la riprenderà, Confalonieri nulla potrà davanti all’evidenza dell’irredentismo.

Crede che abbia paura di guardare al domani? Che abbia pensieri di questo tipo? Dimentica che sono stato il candidato più votato alle Europee (dopo Berlusconi). Dimentica che qui a Genova ho messo su una squadra di bravissimi. Dimentica che anche io sto dimostrando di essere bravino.

Facciamo le corna ma se accadesse l’irreparabile? Ha visto Angelino Alfano?

Potrei scrivere un libro. Mi metterei a raccontare le cronache marziane della vita politica, che spasso. Oramai un libro lo scrive chiunque, perché io no?

Con i libri non si mangia.

Potrei fare l’imprenditore.

Faccia pace con Berlusconi e la finisca di fare la spia a Salvini. Vada da Mara, lei raccoglierà il testimone dal Grande Capo, l’abbracci e amen. Un posto in lista si troverà.

Ma scherza? Guardi che abbiamo tanti amici sul territorio, ci stiamo preparando, capiamo che è il momento di una nuova offerta politica. Sappiamo che la gente aspetta qualcosa di moderato.

Davvero pensa al partito gnè gnè?

Il partito del “ma anche”. Che sappia includere.

Faccia un esempio del “ma anche”.

Con la famiglia tradizionale ma anche con quelle omosessuali. Esempio perfetto. Le due marinaie che si sono unite civilmente con tanto di baionette sguainate sono una immagine fortissima, esemplare. Quell’immagine ha tolto di mezzo gli insulti e i rutti fioriti intorno al congresso della famiglia di Verona.

E come si chiamerebbe questo partito del “ma anche”?

Dovremo trovargli un nome. Per adesso abbiamo l’associazione: Change.

Change?

Per adesso, poi cambiamo. Tanta gente, tanta classe dirigente, tanti amici la vedono come noi.

Lei porta pane a Salvini.

Sono molto più ambizioso.

Berlusconi doveva capirlo che Toti era una vipera.

Io sono buono, rispettoso, educato. Non mi permetterei mai.

Intanto lei è fuori da Forza Italia

Non ho voglia di finire negli abissi. Ho un avvenire io.

Da: Il Fatto Quotidiano, 8 aprile 2019

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Roma, il pane calpestato a Torre Maura e la storia che ritorna

L’immagine del pane calpestato a Torre Maura alla periferia di Roma pur di non farlo arrivare alla bocca dei settantasette rom accolti in un centro d’accoglienza, rimanda al latte versato sui binari della stazione di Bologna il 18 febbraio 1947, dove era atteso un treno carico di profughi istriani, pur di non farlo bere ai loro bimbi malnutriti.

Ieri Casapound e Forza Nuova, l’estrema destra, violenta e ribelle. Nel 1947 militanti della Cgil e del Pci.

Ecco quale forza feroce, quale atto sacrilego sono in grado di produrre le idee quando si ritrovano spogliate dalla ragione e trasformate in sola ossessione.

Con l’aggravante che l’episodio di Bologna è dentro il disastro del dopoguerra, in un’Italia ancora immersa nella ferocia del conflitto armato e questo del pane calpestato è invece e purtroppo il ritratto dell’Italia di oggi, ignorante al punto che questi fascisti violenti non conoscono nemmeno la preghiera del loro amato Duce (“Italiani/ amate il pane/profumo della mensa/gioia del focolare”).

da: ilfattoquotidiano.it

“Io la Lucania non la conosco, per fare la giunta vedo le facce”

Vito Bardi – L’ex generale è il nuovo governatore della Basilicata (ma viveva a Napoli): “Mi farò dare una terna di nomi per ogni incarico. E leggerò le carte”

“La cosa curiosa è che ti danno subito del tu”.

Tipico caso di esborso emotivo. Il politico viene riconosciuto dalla sua gente e dona confidenza e vicinanza.

Mi chiamano ancora per la mia funzione, dicono generale ma danno il tu. E vabbè.

(Vito Bardi è neo governatore della Basilicata, guida una coalizione di centrodestra, dopo cinquant’anni trascorsi nei ranghi militari e una carriera terminata al più alto grado di comando).

“A 15 anni entrai nella Nunziatella, tutto mi è nuovo”.

Ha affrontato la dura prova della campagna elettorale senza un alito di ansia.

Tre comizi in piazza, due con Meloni, uno con Salvini (quello con Berlusconi al chiuso).

Non ha preso neanche un chilo, in genere i politici si abbuffano durante i tour.

Un pasto al giorno, bere molta acqua.

La domenica sera prima del voto lei era in pantofole a riposare mentre la Lucania ribolliva di trattative e cene.

Fatto quel che c’è da fare, si torna a casa. Non è che dimenandosi si produca granché.

Un generale della Finanza candidato da un condannato per frode fiscale. Fa strano.

Questa è vera cattiveria.

Sembrerebbe la realtà.

La proposta è venuta da Forza Italia, non è detto che sia stata specificatamente avanzata da colui al quale si riferisce la sua maliziosa notazione.Continue reading

Di Maio e la fidanzata: il parco e le foto rubate: se Luigi copia Silvio

Anche lui aveva un grande parco nel quale era spesso ritratto, anche lui aveva una fidanzata, anzi più di una, anche lui aveva un fotografo personale che lo illustrava nelle posizioni meglio riuscite. Anche lui ha avuto le copertine di Chi, il settimanale di gossip più noto (in effetti lui era anche il proprietario del giornale). Anche lui voleva rifare l’Italia, e far divenire ricchi i poveri.

Consiglieremmo a Luigi Di Maio di non accettare più di farsi ritrarre con la fidanzata, men che mai steso nel parco a fare cip e ciop con la sua neoamata Virginia Saba, che sarebbe la quarta ragazza del suo cuore e che adesso, dopo il primo confronto fotografico, sogna di “divenire mamma”.

Non è necessario copiare Silvio Berlusconi e nemmeno fare a gara con Matteo Salvini a chi fa più conquiste di carta.

Fa anzi un po’ tristezza, lo spieghi anche a Rocco Casalino, promoter del bacio a gettone.

Da: ilfattoquotidiano.it

 

 

Ecco cosa unisce gli italiani. I terremoti da Nord a Sud

Le terre sono tremule e gli italiani sono innanzitutto terremotati perché i terremoti hanno unito l’Italia. Nel 1980, quando la Campania e la Basilicata furono scosse da un sisma di magnitudo 6,9 della scala Richter, provocando 2914 morti e novemila feriti, un bilancio di una guerra, le file dei connazionali che si diressero in quelle zone per dare una mano furono chilometriche. E non c’è italiano di una certa età che oggi non ricordi quel che fece. Fuori dai confini nazionali si mobilitarono decine di associazioni e molti furono i governi che ci diedero aiuto. Perfino Saddam Hussein staccò per l’Irpinia un assegno di alcune centinaia di migliaia di dollari.

Dopo il 1980, o forse grazie a quella sciagura nazionale, nacque la Protezione civile sotto la spinta illuminata di un parlamentare varesotto, Giuseppe Zamberletti, democristiano, a cui il governo decise di affidare le funzioni di commissario straordinario dell’emergenza. Ma l’Italia prima di quella botta che incenerì un centinaio di paesi e squarciò la terra e le mura tra Napoli e Potenza, aveva già conosciuto e patìto il dolore, le morti e i danni delle catastrofi.

Era il 1908 e Messina fu colpita da un sisma di grado 7,2 della scala Richter che letteralmente spazzò via la città. La conta dei morti, approssimativa e problematica, indica solo una forbice potenziale: tra i 90mila e i centoventimila, migliaia dei quali nemmeno hanno avuto la fortuna di un ricordo, di un fiore. Dispersi, nebulizzati.

Quello che chiamiamo progresso aiuterà, negli anni del secondo Novecento, ad erigere un minimo argine alla forza della natura. È il 1968, altra data cruciale di questa speciale storiografia, quando il Belice, a sud di Palermo, viene trafitto da una lama che taglia in due la terra. Trecentosettanta i morti (6.4 gradi della scala Richter) per un terremoto che si trasformerà nel primo esempio di una ferita che non trova cura.

Gli sfollati vagheranno per anni, quei paesi vivranno provvisoriamente nei decenni che seguono fino a quando, in Friuli, la natura si sveglia di nuovo, miete ancora più vittime (990) perchè la botta è ancora più tremenda (6.5 Richter). Gemona del Friuli è la capitale del dolore, ma da lì parte anche una rivincita dell’uomo, della sua classe dirigente. Perchè il Friuli sarà l’esempio di una ricostruzione veloce e larga, di uno spreco che non esonda, di soldi che si dirigono, fatte le dovute eccezioni, verso gli obiettivi prefissati. In dieci anni, il tempo tecnico per ricostituire le comunità, quella grande ferita viene suturata e lungo il Tagliamento si ripropone, utilizzando nella maggior parte dei casi le pietre cadute, la tipologia urbanistica preesistente adeguata ai criteri antisismici, alle prime prove di un cemento davvero armato di ferro.Continue reading