Ciriaco De Mita – L’ex leader dc novantunenne si candida ancora a sindaco di Nusco: “Lo faccio per resistere, ho deciso tre giorni fa”
Lei sarebbe dovuto morire, secondo i suoi stessi calcoli, quattro anni fa. Che ci fa ancora qui a Nusco, nel suo studio, con le immancabili carte napoletane sul tavolo e perdipiù ricandidato a sindaco del paese? “Avevo ipotizzato di morire a 87 anni. Ne ero veramente convinto e mi pareva del resto anche una bella età. Rimango dell’idea che quegli anni fossero giusti”.
Ciriaco De Mita è indispettito dei 91 anni che si ritrova. Sono rimasto sorpreso ma come vede non ne sono affatto dispiaciuto. Vorrei emulare mio nonno che si accomiatò con la preghiera della buona morte. Nel sonno si spense. Non infastidì nessuno, aveva già preparato il viaggio. Anche mio padre morì in modo piuttosto rispettabile. Quando giunse l’ora disse a noi figli: vi ho dimostrato di sapere soffrire. Adesso lasciatemi morire.
Ricandidarsi a sindaco però è una cattiveria. La scelta risale a tre giorni fa. Neanch’io lo credevo possibile. È stato un atto di resistenza all’oltraggio di un’amicizia sulla quale avevo fatto affidamento.
Purtroppo i cattivi sono più numerosi dei buoni. Purtroppo conservo la memoria. Dovrei aggiungere un secondo purtroppo: io penso da quando avevo 7 anni.Continue reading
L’incontro di Taranto tra un ministro inadempiente e la città delusa è un atto sorprendente di buona politica e spiego il perché. Finalmente le promesse, in questo caso di Di Maio e del Movimento Cinquestelle sul destino dell’Ilva, persino le fanfaronate, hanno avuto un luogo, un tempo, una possibilità di essere certificate e ufficializzate. Molti i lazzi, gli sghignazzi, il piacere di vedere Luigi Di Maio messo davanti le proprie responsabilità, le proprie bugie o omissioni, i semplici errori di valutazione, il supino interesse a utilizzare la propaganda per alimentare l’idea che d’un tratto il nero potesse divenire bianco, il veleno un fiore profumato, l’Ilva un monumento al benessere.
Ci sta, era prevedibile che la delusione di una città si mostrasse con la durezza di parole di pietra. Era meno prevedibile che un politico tornasse sul luogo del delitto e raccogliesse ciò che ha seminato: la sfiducia. Avete visto Salvini confrontarsi con i meridionali su ciò che aveva scritto e detto su di essi? Le accuse, a volte densamente razziste, sono scivolate via e nascoste dentro il nuovo corso leghista. E Renzi? Ha mai preso in considerazione di affrontare con il suo partito gli errori di strategia, le politiche sbagliate? E avete mai visto Berlusconi, l’uomo della Provvidenza, ammettere che il buon Dio aveva aiutato più lui che gli italiani ad arricchirsi?
La politica sgancia le sue bombe di propaganda e lascia il carico di esplosivo nelle mani di chi ha creduto o sperato nella virtù della politica.Questa volta Taranto ha esibito il conto a Di Maio, e lo ha fatto con una compostezza, una irriducibilità e anche un rigore sconosciuti. Merito di chi si batte per non morire di Ilva, e però merito anche di chi in questo momento, proprio sotto i colpi dell’Ilva, è stato battuto: Luigi Di Maio.
Aldo Patriciello – L’eurodeputato forzista, ras della Sanità privata, si ricandida a Strasburgo. E stavolta rischia di superare Silvio in preferenze
Per incredibile che possa apparire, la questione sembra questa: l’onorevole Aldo Patriciello, latifondista molisano del voto, rischia di superare nelle preferenze, alle prossime Europee, niente di meno che Silvio Berlusconi, il suo capolista. È un tema scabroso e perciò il colloquio che segue ha pure momenti di fortissima tensione emotiva. “Dottore carissimo, quello che mi dice mi rallegra e mi allarma. Mi fa sobbalzare e insieme acquietare. Ascolto anch’io (da uomo del territorio) e mi dico: sarà vero? sarà falso?”.
Tutti sanno che Patriciello è una forza della natura, è la vanga che smuove le montagne.
Io lavoro sul territorio (scusi se mi ripeto) e sono vicino alle ansie dei miei concittadini, ai problemi quotidiani, a volte alle difficoltà che la vita ci para dinanzi. Nei momenti del dolore, oppure della salute malferma, io ci sono.
Venti cliniche sono di Patriciello. Una holding, la Neuromed con sede a Venafro, e tante partecipate sparse nel sud Italia.
Istituto di altissimo pregio scientifico. Siamo all’avanguardia nel campo neurologico, con una particolare dedizione ai problemi dell’epilessia.
Però senza la politica Patriciello sarebbe stato farfalla senza ali, gattino cieco.
Cioè?
Politicamente ha avuto molteplici connessioni.
E chi può negarlo?
Molto profittevoli.
Questo no, mi addolora assai quel che dice, carissimo dottore.
I suoi 150 mila voti fanno paura a Forza Italia. Sarebbe uno scuorno (disdoro, nda) per Berlusconi giungere al traguardo dopo di lei.
E questo chi lo dice?
Ovunque in lista, in qualunque partito metti Patriciello, i suoi voti sono lì che aspettano di essere solo contati.
Dunque, specifichiamo. Io raccolgo simpatie in tutte le aree politiche. Infatti non mi intrometto mai nelle passioni degli amici. Sei di sinistra? Benissimo. Sei di destra? Benissimo.
Patriciello non ama i sogni ma solide realtà.
Non interferisco, non polemizzo. Lascio ciascuno libero di professare il suo credo nella sua Chiesa.
Atteggiamento irriducibilmente laico.
Chiedo solo, al momento del voto, se la simpatia ha costruito una amicizia e l’amicizia una confidenza e la confidenza una domanda…
Amico mio, fai la propaganda per chi vuoi ma nell’urna vota me.
Esattamente.
C’è questa sua speciale capacità di raccogliere nella semina altrui.
È dovuta al mio impegno, discende dalla carica emotiva, dal radicamento territoriale.
Dall’afflato.
Col cuore in mano, senza null’altro da offrire che la mia disponibilità: giorno e notte, cellulare sempre acceso. Numero uguale negli anni. Reperibilità assoluta.
Io chiamo per un malanno.
Patriciello c’è.
Io chiamo per un problema di lavoro.
Patriciello se può ti aiuta.
Io chiamo per una festa.
Patriciello è lieto di condividerla.
Onorevole, lei è il deputato di Forza Italia che fa più paura a Forza Italia.
Vuole allarmarmi ma non ci riesce.
Io sono a complimentarmi: tale è la forza.
Così mi imbarazza e mi costringe a ringraziarla.
A che posto in lista l’hanno messa?
Numero sei.
O sei o sessantasei, Patriciello viene eletto.
Nella mia circoscrizione, quella meridionale, il mio pronostico è il seguente: due eletti e mezzo.
Guardo ancora questa denuncia di alcuni giorni fa, lucidissima e definitiva, di una mamma che racconta la sua personale condizione (due figli disabili da assistere e sostenere senza alcun aiuto pubblico) e le privazioni che una società indifferente le impone.
Queste sue parole sono pietre. Pietre contro il modo in cui si usano i soldi di tutti, si decidono le gerarchie, i bisogni, le urgenze. Pietre contro questa nostra falsa democrazia. Pietre contro l’indifferenza.
Questa mamma, questa donna tarantina, racconta attraverso il suo pianto, l’incredulità nel vedersi esclusa dalla civiltà, tenuta incarcerata al suo destino, nemmeno tollerata, semplicemente invisibile. Dà voce al mondo che ci passa accanto ogni giorno senza riuscire a vederlo.
Per vedere dovremmo essere in quel baratro, e lei, grazie alle sue parole, ci conduce, per una ventina di secondi, esattamente nel luogo in cui si trova. E ci fa provare come è quell’altro mondo, come si vive nell’altro mondo, che sarebbe anche il nostro se solo ce ne accorgessimo.
Cinque anni di addii L’ultima è la Gardini, appena salita sulla nave della Meloni. Ma i transfughi di Forza Italia aumentano ogni giorno
L’ultima dichiarazione d’addio è stata colpevolmente trascurata dai media. Eppure, senza falsa modestia, anche la signora Soccorsa Chiarappa (nome e cognome) da San Severo, ha compiuto la fatale scelta. È cioè passata al nemico: “Da soldatessa dell’esercito di Silvio, da donna che ha impugnato la spada per difenderlo nei momenti più duri, dico che Forza Italia finisce qui”. L’amazzone del Tavoliere ora e purtroppo – insieme alla moltitudine dei naufraghi che hanno toccato terra – se la spassa con Matteo Salvini, selfizzato su facebook, per l’inizio di una nuova, strabiliante storia d’amore.
“Lascio Forza Italia”. Il quinquennio degli addii certo non si conclude con il veleno di Elisabetta Gardini, appena tuffata a mare per raggiungere la scialuppa di Giorgia Meloni, ma la stagione dei traslochi, e tutti con la medesima frase di compunta e dispiaciuta dipartita, inizia con un magnifico duo. Prima monsieur Denis Verdini, archistar della geopolitica berlusconiana, poi Paolino Bonaiuti, essenza di Silvio nei giornali e nella televisione, avviarono, nella devota contrizione, il grande smottamento: “Lascio Forza Italia dopo una lunga e dolorosa riflessione”. Dall’apice la riflessione, per la forza di gravità, è calata in basso. Qui siamo solo per rendere, visto che nessuno testimonia il dolore della truppa, le innumerevoli riflessioni che si fanno diserzioni. Accanto a un Vittorio Sgarbi, multietnico del centrodestra, che chiede a Giorgia Meloni di trovargli posto, dopo aver patìto da Silvio Berlusconi una profonda offesa, nota come “lo schiaffo di Sutri”, la città della Tuscia che lo ha chiamato a fare il sindaco. È successo che Silvio abbia disertato “e per ben due volte”, la cerimonia di intitolazione di un giardino alla compianta mamma Rosa, “benché – recita il comunicato d’addio sgarbiano – il catering fosse già pronto”. Continue reading
La progressiva fascistizzazione di Giorgia Meloni documenta l’esigenza di offrire al suo elettorato qualcosa di appetibile e, come una cuoca arrivata tardi al casting di un’edizione di Masterchef, mette in tavola quel che si trova tra le mani. Sono scarti invece che leccornie, e ieri non sarebbero mai giunti nel piatto. Ma si deve pur mangiare e la Meloni deve pure tentare ditener testa a Salvini e all’abbuffata che per lui si prepara il 26 maggio.
Non potendo fare di meglio, Giorgia conduce Fratelli d’Italia nel dirupo della destra nostalgica, nemmeno romanticamente fascista ma soltanto trasformista. Non sapendo fare di meglio torna al punto in cui era partita e dal quale sembrava volersi liberare: fare qualcosa di fascista, dire qualcosa di fascista. Ma alla sua destra c’è Casapound che presidia, anche un po’ menando le mani, lo spirito del ventennio e questa volta il make up sembra mal riuscito.
Riuscirà forse a superare la soglia di sbarramento del 4 per cento, ma sarà indiscutibilmente ritornata a fare ciò che aveva promesso di non fare, a dire quel che – un po’ vergognandosi –aveva promesso di non dire mai più.
Sono gonne d’acciaio. Convinte, decise, allungano il passo senza mai guardarsi dietro. A volte ribelli, sempre ribalde, non conoscono accomodamento se prima, interna corporis, non hanno avviato l’analisi completa della situazione, e delle conseguenti condizioni migliorative. Le donne d’Italia illustrate per brevi radiografie.
Vicedir. gen. Bankitalia
Alessandra Perrazzelli
Conosce bene Corrado Passera con cui ha lavorato in Intesa Sanpaolo; conosce bene Carlo De Benedetti, con cui ha lavorato in Olivetti. Ha scucito quattro miliardi di lire come risarcimento danni alla Telesystem di Arturo Artom; ha guidato Barclays Italia, ha presieduto Valore D, associazione di 150 imprese italiane ed estere impegnate a promuovere le donne in posizioni apicali. Più gonna d’acciaio di così non ce n’è.
È lei la guida futura del Pd.
Ministra della Difesa
Elisabetta Trenta
Non sbaglia un congiuntivo – in dissenso con il proprio partito, il M5S – e parla fluentemente in russo, in inglese e perfino in arabo. Capo di un dicastero d’impronta maschile, Trenta ha dovuto gestire la nuova nomina del capo di Stato Maggiore della Difesa e risolvere la questione degli aerei F-35 con gli Usa. Oltre al rancio – sempre ottimo e abbondante – ha discusso con la truppa di uranio impoverito, equipaggiamenti e caserme. Schietta e dritta rintuzza spesso Matteo Salvini, una volta anche Giulia Bongiorno in tema di castrazione chimica e ha rimproverato Virginia Raggi – sua collega di partito – per le buche di Roma su cui perfino i cingoli dei carrarmati sbiellano.
Pronta per fare la ministra della Guerra, altro che Difesa.
Scienziata
Fabiola Gianotti
Portavoce del gruppo che ha scoperto la particella compatibile col bosone di Higgs, è la prima donna italiana a dirigere il Cern, la seconda donna italiana tra le cento più influenti nel mondo secondo Forbes. Non conosce altro che la fisica, con la quale è legata sentimentalmente fin dalla prima infanzia. Iconic woman, forse bionica, è nella condizione di dirigere contemporaneamente tre ministeri o assolvere alle funzioni di due e più vicepremier.
Atleta
Bebe Vio
Prima nella storia dello sport a vincere le Paralimpiadi nel fioretto con quattro protesi artificiali, Bebe rende oro quel che tocca e le vittorie di squadra con lei valgono il doppio. Quando furono realizzate le prime protesi, simile alla dea Atena, ebbe ad abbagliare tutti col suo braccio armato. Il suo motto: “La vita è una figata”. Ama frapporre fra sé e le difficoltà della vita tutti gli ostacoli possibili e superarli – siano essi una patente, la burocrazia delle regole sportive o una laurea – al modo dei supereroi, o dei semidei e comunque come la dea qual è capace di fare un tutt’uno sia delle discipline olimpiche che delle paralimpiche. Viaggia verso Tokyo 2020 e diventerà la campionessa assoluta. L’urlo finale a occhi strizzati è la sua firma.
First Sciura
Chiara Bazoli
Bazoli, basta la parola. Già figlia, nonché compagna, è individuata dal popolo nell’essere lei erede del più autorevole e illuminato dei banchieri milanesi e partner del più atteso tra i papi stranieri della sinistra. Sulla bionda Bazoli – nella miscela inarrivabile che salda il cattolicesimo adulto del padre con il provincialismo del sindaco di Milano, il suo compagno – come il confetto Falqui può dirsi “basta la parola!”. Il rito ambrosiano in lei si eleva al massimo grado dello chic capace com’è – in pieno inverno, alla prima della Scala – di indossare sandali aperti e sfidare così la temperatura della città di cui è regina equosolidale in radzmir, sovrana multiculturale con spacco laterale e piume, nonché blasone di democrazia e laicità col maxi fiocco sul retro.
Senza Facebook – Emma, dalla Costa Azzurra, lascia in mare 4 biglietti nel vetro. Mario li ha raccolti
La bottiglia di vetro con un tappo di alluminio rosso, quattro biglietti adagiati al fondo, una firma, Emma, e un luogo di partenza: Sainte Maxime, Costa Azzurra. Il mare l’ha condotta sulla spiaggia che unisce Petrosino a Marsala, appena sotto Trapani, intercettando i piedi di Mario, dodici anni, che quella spiaggia frequenta ogni giorno e di quel mare conosce ogni increspatura.
Navigare è impegnativo e per una bottiglia ancora di più. Figurarsi poi al tempo di Internet, nella modernità che connette all’istante, riduce ogni spazio, risolve ogni distanza. Perciò Mario ha capito subito, appena ha disteso i piccoli rotoli di carta ancora perfettamente integri, che la faccenda si faceva parecchio curiosa, anzi straordinaria. Lingua francese, grafia adolescenziale, uso del pennarello. Ogni foglietto un colore, ogni riga un pensiero sui destini del mondo, la felicità, la vita. È corso a casa, e poi con tutta la famiglia dal sindaco del paese: “Mario è un ragazzino speciale. La prima cosa che mi ha detto: non ho il telefonino e non uso facebook”, riferisce Gaspare Giacalone, il primo cittadino di Petrosino. È come se il destino l’avesse voluto ripagare da questa sua scelta di vita così lontana da apparire eccentrica, consegnandogli il messaggio in bottiglia, in quello che appare un cammino a ritroso di quasi due secoli, nella forma di comunicazione più poetica e più improbabile, più disperata, ultima eppure più coinvolgente. “Scriverò al mio collega sindaco di Saint Maxime spiegandogli l’accaduto nella speranza di rintracciare Emma, ragazza o adulta che sia”.Continue reading
Mauro Corona – “C’è musica e musica. Il violoncello di Mario Brunello è carezza”. E sulle prossime elezioni: “Potrei tornare a votare a sinistra”Anche lo scrittore ( e volto televisivo) si schiera contro il concerto a Plan de Corones
“La birra traccia il sentiero, è propedeutica, è dose preparatoria, poi arriva il vino. Gradazione robusta, almeno sopra i 13 gradi. Meglio se Amarone o Barolo”.
Con Mauro Corona non ti puoi sbagliare. Ogni bisbiglio lo trasforma in tuono.
Dicono che sono alcolista, ubriacone, rozzo. Non è questa la motivazione per farmi fuori dallo Strega? Vesto male, sono arruffato.
E se fosse invidia?
Di certo cinque, sei milioni di copie vendute loro se le sognano. Loro, i lettori della domenica. Puah. Vado a bere, che sono salito in cima alla mia montagna e sono stanco morto.
Dopotutto in vino veritas.
Ho scritto un libello sulla necessità della continenza. Imparare a bere. Ma dire ai giovani che l’alcol è il demonio fa semplicemente ridere.
Lei è divenuta una star televisiva.
Funziono perché faccio il cretino con i cretini, divengo idiota con chi mostra di esserlo e parlo di letteratura con colui che è in grado di capirmi. Parlare alla pancia questo significa. Ricordarsi del bar, ad ogni ora del giorno.
Lei disarticola il programma della Berlinguer (che chiama Bianchina)
La sfotto un po’, quel tanto che lei utilmente si incavola. Bianchina è un diminutivo e mi ricorda l’amicizia con tre ragazze del paese, anche loro di nome Bianca, che noi diminuivamo.
Bianca capisce che Corona funziona e lascia fare…
Dico quel che penso senza reti di protezione. Non riduco, perché non ce n’è bisogno, non estremizzo. Parlo al bar.Continue reading
Prima notizia: nei prossimi cinque anni ci saranno 360mila studenti italiani in meno nelle scuole italiane.
Seconda notizia: il campionato italiano di matematica, al quale hanno partecipato 520 scuole, è stato vinto da quattro studenti del liceo Tasso di Prato: una italiana figlia di italiani e tre italiani figli di cinesi.
Considerazione finale: fingere che la realtà sia diversa è cosa stupida prima ancora che scorretta.
Dire che il declino demografico sia figlio unicamente delle precarie condizioni economiche delle giovani coppie è una verità relativa.
C’è in gioco qui – oltre che l’economia – la nostra cultura e la nostra civiltà, l’idea che abbiamo della vita, il senso di come intendiamo vivere il nostro tempo e il tempo che intendiamo dedicare all’altro.
Bisogna che facciamo una buona volta i conti con noi stessi, senza starnazzare “prima gli italiani”, perché poi la realtà ci dice che mentre in pubblico urlavamo ossessi al nostro supposto primato, in privato ci adoperavamo per giungere secondi (o terzi, quarti, quinti).