La bici è la nostra compagna di vita. Ci ricorda l’infanzia e ancora a tanti fa venire in mente la fatica. Quanti sono andati al lavoro e ancora vanno con la bici? Pedalare, si dice per illustrare oltre ogni misura che serve il sudore, l’impegno, la resistenza. Il ciclismo è perciò lo sport più vicino all’animo popolare, perché composto della capacità del nostro corpo di rispondere anche alle sfide più grandi, più impegnative, anche più rischiose per la salute (e le cattive e continue storie di doping stanno lì a dimostrarcelo).
SI VA ALLA CORSA ma senza obbligo di comprare il biglietto. Il ciclismo è l’unico sport popolare che non preveda ticket d’ingresso. Si va alla corsa senza necessità di odiare, contestare, senza un nemico insomma. La bici unisce e non divide. Perciò esistono eventi sportivi così grandi che hanno unito l’Italia e l’hanno difesa anche nei momenti più bui della storia repubblicana, come l’attentato a Togliatti. Fu il mitico Bartali a salvare l’Italia dalla guerra civile vincendo il Tour. E la corsa più amata, più influente, più partecipata, ha sempre legato la sua storia a quella del Paese, e ha fatto scendere in strada gli italiani, tutti gli italiani. Del Nord e del Sud.
Assistere oggi a un Giro che si dimezza, per via degli affari che incombono e indicano le tappe giuste e quelle sbagliate, è prima che una delusione una sconfitta. Vedere il prossimo Giro, 102esima edizione, che neanche tocca il Sud, raggiungendo a malapena San Giovanni Rotondo e poi deviando verso il Tirreno, verso Terracina, è il segno di un Paese spezzato, diviso, che neanche si riconosce più. Già la distanza tra Nord e Sud va incredibilmente allargandosi, con un Mezzogiorno che si spopola e dimagrisce fino a divenire scheletrico, raggiungendo il punto più basso della sua decrescita infelice: non c’è area in Europa più spopolata, più grande e più depressa che questa.Continue reading