Prima di abbonarmi a Telepass, ormai molti anni fa, ero un habitué delle file ai caselli. A volte così lunghe che andava via un’ora, altre il tempo di un’intera partita di calcio. L’attesa induceva alla vista: vedere sganciare tanti e tanti quattrini per godere del diritto di passaggio, in alcuni tratti con un costo più elevato del carburante necessario, e vederli in mani private mi ha sempre procurato uno sconforto. Dove ci sono quattrini da guadagnare, lo Stato lascia. Dove ci sono debiti, lo Stato prende. E domandavo con ingenuità: perché succede? Le risposte erano tristemente uguali: lo Stato non ha la capacità, l’efficienza, la duttilità delle imprese private che riescono a fare meglio e con più speditezza dove la mano pubblica si blocca, s’impiccia, si corrompe e infine si ferma. Le medesime spiegazioni, se ricordate, che sono state alla base di diversi condoni. Lo Stato non riesce quindi… Non riesce a controllare gli evasori quindi condona, non riesce a realizzare celle degne e umane quindi libera anzitempo chi avrebbe da scontare la sua pena. C’erano poi dei settori, come la sanità, in cui l’eccellenza, la media dei luoghi migliori dove farsi curare, era pubblica mentre la precarietà diveniva privata. E cosa succedeva? Che l’industria privata si arricchisse proprio nel settore dove le sue prestazioni erano mediamente peggiori del concorrente pubblico.
Domandavo, che ingenuo: ma se è un affare, e gli ospedali hanno una reputazione maggiore, perché sono rovinati dai debiti? Perché i nosocomi pubblici sono spesso in una condizione vergognosa e quelli privati, più scarsi nelle competenze, lindi e belli?
Avere il coraggio di affrontare, certo con più compiutezza di quanto io non sia in grado, l’elemento psicologico, il difetto di autostima che ci convince che di là ci sono i buoni e di qua i cattivi e nulla può cambiare il corso delle cose, aiuterebbe a sistemare meglio le opinioni e dare un senso alla logica.
Perché nemmeno il più fesso tra di noi, il più sprovveduto, avrebbe mai firmato un contratto, come quello che il governo italiano ha stipulato con Autostrade SpA nel quale si stabilisce che a fronte di gravi e documentate inadempienze del concessionario il concedente è comunque tenuto a corrispondere il valore dei profitti equivalente agli anni residui della concessione.
Chi di noi avrebbe firmato un accordo simile che è un premio all’inefficienza? Nessuno.
Con la nostra tasca mai e poi mai avremmo accettato.
Ora i terribili fatti di Genova dicono che quel patto si è potuto accettare perché non era la nostra tasca in gioco ma quella di tutti.
Ecco, se potessi dare un consiglio, inviterei, come nel gioco dell’oca, a tornare alla casella di partenza: cosa è e come si difende il bene comune, questo sconosciuto.