All’apparenza Giuseppe Conte è l’esatto esecutore, il grigio burocrate collettore delle volontà altrui. Un presidente del Consiglio ininfluente che è chiamato a dirimere il traffico di obiezioni e statuizioni.
L’apparenza potrebbe venire confermata dal secondo discorso da premier tenuto alla Camera. Vago da sembrare vuoto pneumatico, ecumenico fino all’arrendevolezza, con tanti luoghi comuni e tanti verbi coniugati al futuro: vedremo, faremo, concorderemo, spiegheremo, capiremo.
Tutta questa vaghezza però è sospetta. Perché Conte non si è tenuto alla larga soltanto dai punti più controversi e dibattuti nella coalizione, dove l’accordo non c’è e bisogna usare piedi di piombo, ma è stato prudente persino nel rivendicare i cavalli di battaglia del governo giallo-verde. Il reddito di cittadinanza, il no agli immigrati o l’espansione della legittima difesa li ha frullati al punto da scolorirli, poi – uno a uno – li ha posti dentro i vincoli della Costituzione riducendo le promesse a uno stato semiliquido, avvertendo sempre delle compatibilità, delle opportunità, delle coerenze.
La realtà, a ben vedere, è che Giuseppe Conte nell’esecutivo è colui che più agevolmente maneggia i codici e le leggi, e conosce meglio degli altri colleghi ministri le ostruzioni che i commi e gli articoli possono provocare, le vie lunghe per scansarli e quelle brevi per trovarseli nemici.
E alla guida nel mare periglioso della burocrazia ci sarà lui.
Insomma la realtà potrebbe di molto distanziarsi dall’apparenza e domani Giuseppe Conte, esecutore del Contratto, potrebbe rivelarsi un outsider, un giocatore che siede al tavolo e chiede di dare le carte. L’ambizione non manca al Prof. Avv. Conte, per adesso il Signor Contratto.