PIETRANGELO BUTTAFUOCO E ANTONELLO CAPORALE inviati a Terni
Generazione Acciaio. Roberto, Fabrizio e Juri. Come nonno, figlio e nipote, come una vita lunga un secolo e un quarto, come la tuta, perenne quanto il fumo in cielo e la polvere nei polmoni. Come Terni, centro di gravità permanente del laminatoio. Metalmeccanici altrove, metalmezzadri qui, e presto capiremo il perché.
Dei suoi 32 anni passati lì dentro ricorda la felicità esagerata, quell’euforia incontenibile dovuta all’arruolamento nella fabbrica che era come un matrimonio. La sposa perfetta era la tuta, compagna di vita, amore indiscutibile. Il laminatoio, il forno, la polvere, il rumore del martello. Roberto Marroni ora ne ha ottanta di anni e tiene il conto della gioia che gli ha fatto vivere la sua fatica, l’onore di essere operaio come gli altri, come tutti. “Si andava al sindacato che ti procurava il lavoro e la fabbrica era il nostro destino da conquistare a tutti i costi, l’aggiudicazione di uno status sociale, la fatica benedetta di ogni giorno quanto una fortuna, quanto il nostro piacere. La fabbrica insomma era il nostro Sol dell’avvenire”.
Terni era la fabbrica, le case subivano il ritmo di espansione dei reparti: più acciaio più camere da letto, più comodità, più acqua calda. Più polvere, più orti. Più scorie nell’aria, più insalata a terra. Perché Terni ha anche prodotto la figura del metalmezzadro, metà giornata in fabbrica e metà nei campi. Sicuramente operai ma ancora contadini: falce e martello, appunto.Continue reading