Come una capsula del tempo tutto è ritornato dove l’avevamo lasciato. Matteo Renzi è lì che illustra in tv le sue riforme costituzionali, Di Maio pensa a come fargliela pagare, Silvio Berlusconi a come tenersi a galla, Matteo Salvini a come comandare. Due sole ma rispettabili novità dopo il voto del 4 marzo. Elisa Isoardi si è aggiudicata la conduzione de La prova del cuoco, e il Nord padano è in festa per il giusto riconoscimento alla fermezza con cui la Lega ha condotto la battaglia “Prima Elisa e poi tutti gli altri”. Maurizio Martina conquista invece il premio “Cuore d’oro”: ha accettato di far finta di essere il segretario reggente del Pd sapendo che era uno scherzetto per vedere che effetto faceva.
Elisa Isoardi condurrà la ‘Prova del cuoco’: è la vendetta del sistema che l’ha perfidamente strappata al ferro da stiro
Ha dato prova di saper stirare. E, in tutte queste settimane, di saper stare nell’ombra. Quella cinquantina di scatti che sono scappati dalle mani del suo compagno e sono finiti su Instagram e sui rotocalchi rappresentano il frutto della distrazione più che della esibizione. Una coppia normale, come tante, con mille cose da sbrigare. E i pochi istanti di intima conversazione, lui in poltrona e lei in décolleté davanti al ferro da stiro, lui in camicia e lei pure, lui al mare e lei di lato, lui avanti e lei dietro, è il pedaggio che lei paga a Matteo e alla sua ossessione di fotografare ogni cosa che gli si muove intorno: una camicia, una ruspa, un immigrato o anche lei, Elisa batticuore.
Nonostante tutto Elisa Isoardi sta resistendo nell’ombra anche se gli sfregi alla sua decisione non si contano. L’ultimo quello della Rai di trascinarla sotto il cono di luce della Prova del cuoco, trasmissione alla quale Antonella Clerici ha donato 18 anni di fila. Elisa dovrà condurre, lei che vorrebbe essere condotta, e dovrà stare alla luce, lei che è nata nell’ombra e lì vorrebbe essere lasciata. Sembra una vendetta, una ritorsione, l’ultima provocazione del sistema, del potere pubblico contro Matteo Salvini, il leader contro, colui che sta col popolo, tra il popolo sovrano. Matteo non avrà più le camicie stirate dall’adorata Elisa, impegnata con i bucatini all’amatriciana. Fortuna che gli restano le felpe.
Spagna, l’astro nascente di Rajoy si dimette per la crema antirughe rubata. E se avesse trafugato soldi alle Cayman?
C’è qualcosa di strabiliante e nient’affatto consolatorio nella storia di Cristina Cifuentes, 53 anni, fino a qualche settimana fa astro nascente del partito di Mariano Rajoy, il premier spagnolo e oggi destinata alle dimissioni da ogni incarico e all’oblio perpetuo. La signora è stata pizzicata in un supermercato con due vasetti di crema antirughe in borsa. Penosa la foto nella quale si vede l’influente politica tirar via i due vasetti e scusarsi per aver “dimenticato” di pagare alla cassa. Ogni taccheggio porta con sé un po’ di pena, ma c’è un di più che questo evento obbliga a misurare.
Si può rubare una mela, un milione di euro o anche di più. Siamo certi che la Cifuentes, che sul groppone ha pure una falsificazione della sua laurea, paga perché i due vasetti antirughe sgraffignati al supermarket hanno una potenza visiva imparagonabile a ogni altra e più grave forma di delinquenza. La vergogna le è cascata addosso in modo definitivo solo grazie a due vasetti di crema. La sua reputazione è azzerata, la sua carriera pure. La classifica del disonore per il potere è infatti inversamente proporzionale alla suggestione pubblica che quel comportamento provoca. Avesse trafugato montagne d’euro su un conto delle Cayman, come fanno i ricchi e i potenti, figurarsi se c’era da scandalizzarsi. Ma qui si tratta di due vasetti di crema antirughe, diamine!
Roma, il murale col boss dello spaccio che nessuno rimuove
“Serafino, sei il nostro angelo”. La gigantografia del boss Serafino Cordaro, assassinato nel 2013, capo del clan monopolista dello spaccio di droga a Tor Bella Monaca campeggia su un muro di un palazzo del quartiere, un caseggiato per giunta di proprietà comunale.
Da cinque anni è lì. Tutti lo sanno, nessuno lo toglie. Ventiquattro ore invece ha campato il murale dello street artist Tvboy che aveva ritratto Di Maio e Salvini in un bacio appassionato. Solerti sbianchettatori comunali furono inviati a ripulire lo scandaloso e imbarazzante bacio disegnato appena dietro Montecitorio.
Si potrebbe dire, e magari è effettivamente così, che quando il potere costituito è preso di mira e sbeffeggiato, si difende e risponde in un battibaleno.
Io invece credo che la disparità di trattamento abbia una spiegazione ancora più profonda e grave: il quadro che inneggia al capo degli spacciatori è dentro una comunità di invisibili, è ai margini della Capitale, nelle larghe periferie che il potere proprio non vede, di cui non s’accorge.
Desta scandalo o polemica, si dibatte e si ragiona solo su ciò che sappiamo, che conosciamo. Che appare, quindi che è. E le notizie che selezioniamo, i fatti di cui ci occupiamo sempre più hanno poco a che fare con gli interessi dei più, le gioie o le pene di chi sta lontano dall’obiettivo.
L’Italia non è divisa in due dalla politica ma dalla vista di chi la abita. La società che appare, rimpicciolita quanto si voglia, e quella invisibile, sempre più larga, ma che fa fatica a esistere.
Il boss ha la sua gigantografia, ma sta nel suo territorio, e chi vive là e magari non spaccia, non ruba, sceglie la legalità, non ha altra possibilità che delegare la sua vita, la tutela dei propri diritti e anche delle sue speranze a chi sta di qua, che nemmeno si accorge di lui, l’invisibile.
Di Maio e Salvini, come i pifferi di montagna. Andarono in Molise per suonare e furono suonati
Ecco finalmente il Molise. Lo aspettavano, molto oltre il senso della misura, sia Salvini che Di Maio. Avrebbe dovuto regolare i rapporti di forza, per l’uno nel centrodestra e per l’altro nel Parlamento. Il voto regala ai due vincitori delle politiche due sonori ceffoni. Il centrodestra vince, ma deve ringraziare Aldo Patriciello, l’imprenditore della sanità titolare di un partito transumante che ogni cinque anni sceglie con chi transitare al traguardo.
Salvini che voleva fare le scarpe a Berlusconi, arriva terzo senza un voto in più. Amen. E Luigi Di Maio prova sulla sua pelle cosa significhi mettere giacca e cravatta al movimento e imbarcarlo in trattative infinite, fargli poggiare i piedi nella palude della prima Repubblica.
I Cinquestelle dovevano vincere, potevano avere il primo governatore regionale e invece eccoli di nuovo al punto di partenza: primo partito ma arretrato di molti punti rispetto alle politiche. Opposizione era e opposizione sarà.
I Cinquestelle perdono soprattutto perchè l’astensione è giunta a un livello record. Metà degli elettori ha rinunciato a votare. In questa moltitudine tanti sono quelli storici del centrosinistra che hanno scelto, a differenza del 4 marzo, di non scegliere, come ultima chance, il Movimento.
Se Di Maio voleva provare i costi della sua spregiudicata tesi dei due forni, l’idea che Lega e Pd siano uguali, che il governo sia una forma neutra sulla quale adagiare ogni possibile alleanza, eccolo accontentato.
Spettacolo Molise: nell’urna pendoli, tronisti e morsicati
PIETRANGELO BUTTAFUOCO E ANTONELLO CAPORALE inviati a Campobasso
Il canino volitivo di Massimiliano Scarabeo, capogruppo del Pd al consiglio regionale, era sul punto di arpionare il lobo dell’orecchio destro di Domenico Di Nunzio, suo collega di partito, e macinarlo tutto, e poi magari pure inghiottirlo. Come manco neppure San Pietro quando stacca l’orecchio a Malco, il servo del terribile Caifa, l’accusatore di Cristo.
IL CONFRONTO svoltosi nella sala delle adunanze del Molise meno di due anni fa finì dunque a morsi e giustamente il morsicato Di Nunzio valutò che il dissidio “squisitamente politico” non dovesse esondare in tribunale. Il tempo ha fatto il resto e sia Scarabeo che Di Nunzio, con pari gioia, si ripresentano all’elettorato scegliendo, per dare soddisfazione alle esigenze del pendolarismo, le file del centrodestra.
Proprio il caso di dire: “Porgi l’altro orecchio”. I molisani hanno un particolare rapporto col tempo che passa, e se passa lento è meglio per tutti. Cosicché i loro dirigenti hanno scelto di chiamarli al voto con due mesi di ritardo rispetto alla scadenza naturale del 4 marzo.
Si vota domenica 22 aprile. Due mesi in più, due stipendi in più, tutta festa. E Vincenzo Niro, in consiglio regionale dal 2001, è chiamato affettuosamente l’onorevole Pendolo. Non mostra antipatia per l’appellativo giacché di suo ha scelto di confrontarsi con tutti quanti.Continue reading
La Molisana – Rossella Ferro: “Noi imprenditori senza chiedere favori a nessuno”
PIETRANGELO BUTTAFUOCO E ANTONELLO CAPORALE inviati a Campobasso
“Non sa che orgoglio nel dire: noi acquisiamo questa azienda senza chiedere un euro di finanziamento pubblico. Senza la solita questua, senza la carezza di un politico, solo con i nostri soldi”.
Nel Molise che ha finanziato anche le lacrime, bruciando quattrini e sotterrandoli nella grande cesta delle clientele, la vicenda della famiglia Ferro sembra un film girato altrove. Rossella, quarta generazione di una famiglia di mugnai, oggi gestisce insieme a suo fratello e ai cugini il pastificio La Molisana, raccolto in disgrazia nel 2011.
Mai un passo più lungo della gamba. E il passo si fa solo se la gamba lo permette. Il marchio sette anni fa era decotto e ora invece è nelle posizioni preminenti della classifica nazionale.
Beh, la soddisfazione di non dover far fronte a tutte le future raccomandazioni dei politici non è di tutti.
Infatti dalla politica non giunge alcuna richiesta. Le domande di lavoro sono tante e io le ricevo tra le mie amiche, quando vado al supermercato, oppure via mail. Abitiamo tutti a Campobasso, ed è naturale che si pensi al futuro del proprio figlio e si chieda a noi di farvi fronte. Quando diciamo no è sempre un dispiacere.
Gli imprenditori italiani sono definiti, e giustamente, dei “prenditori ”.
Sto parlando della mia azienda, non guardo in casa d’altri.
Quanti occupati?
Qui dentro siamo 207, ma stiamo acquisendo terreni perché abbiamo bisogno di immaginare un futuro ancora più importante.
In città si dice che siete molto parsimoniosi.
È una tradizione di famiglia, lo sfarzo non è un nostro amico. Oggi hai i soldi ma domani?
Pasta di grano italiano?
Ora va forte l’illusione che il grano italiano sia il migliore del mondo. Invece quello dell’Arizona è nettamente superiore. Non le dico il kazako. Ma a noi piacciono tanto gli spot del Mulino Bianco. Comunque, se il consumatore chiede, il produttore risponde. Anche La Molisana offrirà la pasta con grano italiano. Faremo tutti felici e contenti.
da: Il Fatto Quotidiano, 19 aprile 2018
CAMPOBASSO – Tempo di transumanza: buoi e politici in marcia
PIETRANGELO BUTTAFUOCO E ANTONELLO CAPORALE inviati a Campobasso
Una mucca non ci sta nel corridoio. È capace di fare salti di due metri.
“Anche tre”, dice Carmelina Colantuono a capo delle mandrie e dei mandriani che in andata e ritorno di bestie, uomini e dei dagli Abruzzi alle Puglie fanno del Molise –la terra di Campobasso dove tutto è tormento: o nevica, o piove, o tira vento –il transito della Transumanza. Un transito che si riflette, visto l’intreccio sociale, nella metafora più immediata. In politica – e domenica si saprà – tutti fanno un po’ qua e poi anche là. Come Vincenzo Cotugno che quando è di centrosinistra fa la lista “Rialzati Molise” e quando è di centrodestra, invece, fa “Orgoglio Molise”.
Come Massimiliano Scarabeo, già sgargiante ultras del Venafro calcio, fondatore del Circolo An “Gianfranco Fini”, quindi capogruppo del Pd di Matteo Renzi in Regione e adesso collocato in Forza Italia, al seguito del potentissimo cognato di Cotugno: Aldo Patriciello, il Gran Commendatore della sanità privata, il Don Rodrigo del contado molisano che dice sempre no. Un pastore, o un mandriano, ci vuole. E Patriciello ha detto no perfino all’avvenente Annaelsa Tartaglione, amica di Francesca Pascale, che la sua elezione in Parlamento se l’è dovuta faticare in transumanza, in Puglia (ma è ben vendicata; tutte le volte che Patriciello chiama al telefono Silvio Berlusconi non c’è verso: la Pascale spegne lo squillo).
Una mucca fa fatica a incamminarsi sull’asfalto. Cerca i tratturi e trascina negli zoccoli essenze e fragranze che vanno a vivificare – nei 200 chilometri delle autostrade fatte di verdissimi prati – la civiltà della transumanza. Ed è quella “bella immagine dell’avventura di bivacchi, coperte, fuochi, bellezza e il respiro incontaminato che tutti cercano” e su cui oggi scommettono Carmelina Colantuono (che pure gareggia alle Regionali nella squadra di Cotugno, uno dei politici in perenne transito), e con lei Nicola Di Niro (parente di Robert De Niro!). Sarà comunque grazie a loro due, infatti, e ai mille pastori molisani eredi di una tradizione di oltre due secoli, se nell’anno 2018 verrà accolta all’Unesco la candidatura della “Transumanza come patrimonio immateriale dell’Umanità”.
OGNI TRANSITO si lascia percorrere dalla muta pazienza dei greggi e delle mandrie.Continue reading
Luigi Di Maio e Matteo Salvini, i nuovi ricicloni
Due giorni fa Matteo Salvini si fa scattare una foto a Santa Croce di Magliano (Molise) con tre donne rom. Due mesi fa l’intenzione (testuale) era di “asfaltarle”, e la ruspa è stata l’immagine più performante per far capire di che pasta fosse fatta la Lega.
Parimenti Luigi Di Maio, impegnato nella promozione del “governo di cambiamento”, ammonisce Salvini a non tirare troppo la corda, “altrimenti chiudo un forno”. Nel neo linguaggio democristiano a cinquestelle il forno, che un tempo era la deprecabile attività camaleontica dei partiti (ci si allea con quello o con il suo opposto) diviene insperata virtù e fianco plusvalore.
Colpisce di questi due movimenti anti sistema la leggerezza del cambio di scena, la sicurezza con cui tolgono la tuta da lavoro e indossano il frac di gala, la disinvoltura del sorriso acquiescente.
Di Maio&Salvini, i nuovi ricicloni.
Se un algoritmo voterà al nostro posto
Che sorpresa è la vita! Di giorno in giorno, di mese in mese, aumenta la capacità di decrittare, grazie a internet, i nostri gusti, le nostre preferenze, le nostre attività. Ogni nostro movimento è geolocalizzato e non abbiamo scampo: ovunque andiamo c’è sempre Google a tenerci compagnia e a chiederci un parere, una foto, un urrà del ristorante, del tempio, della strada che abbiamo appena percorso.
Grazie all’algoritmo, questo virtuoso espediente statistico-matematico, ogni nostro passo è catalogato, consegnato alla valutazione probabilistica dei nostri interessi e quelli dei nostri amici. Un ragazzo austriaco, Robert Gryn, gestisce il mucchio di dollari che gli investitori pubblicitari gli consegnano per carpire clienti su Facebook, profilando ciascuno di noi. Noi scriviamo: “Che bello è il mare” e sulla nostra pagina esce un resort o un’osteria, oppure un carretto siciliano. A seconda di chi siamo, dei soldi che abbiamo, dei gusti, del nostro stile di vita.
Di questo passo, tra non molto, anche i partiti e movimenti politici sapranno – magari persino prima di noi – chi abbiamo intenzione di votare. E sulla nostra pagina, accanto al post sul viaggio in Australia (spot probabilistico accluso: “Quantas ti porta più veloce a Sydney”) ne comparirà un altro e un altro ancora. E infine l’ultimo: “Io, per esempio, voto Lega e tu?”.
Di pari passi si accerterà che l’agoritmo, essendo scientificamente più attendibile, ridurrà le evenienze impreviste di una società moderna. Serviranno ancora le elezioni se i nostri gusti, i nostri progetti, i nostri ideali, il nostro lifestyle sono già stati abbondantemente decrittati, scomputati, profilati e infine pubblicati?
La democrazia sarà pure bella ma spesso è rompicoglioni. Grazie all’algoritmo anche votare diverrà una inutile perdita di tempo di cui si farà volentieri a meno. Sarà tutto già scritto, conosciuto, profilato e pubblicato e perciò sempre ci sarà un vinto e un vincitore. E noi avremo già scelto, persino a nostra insaputa che è anche più bello.