I vecchi. Alle sette e mezza, nella scuola che si affaccia sul Colosseo e che dà le spalle a quella che fu la casa di Claudio Scajola, alias Sciaboletta, l’ex ministro dell’Interno di Berlusconi che ora ha candidato suo figlio perché così fan tutti, c’è una piccola coda di capelli bianchi e bastoni. Votano sempre per primi gli anziani, i primi a svegliarsi, e i primi – insieme ai netturbini – a scendere in strada. “Fermo, non si può più!”. Il presidente di seggio afferra la mano del signore che stava per imbucare la scheda. Manco una gioia e questa forse era l’unica per noi elettori: il gesto fisico, volersi contare e soprattutto farsi contare.
Questa volta sembra invece che il voto non conti più. “Tu che dici?” “Te devo di’ pure?”. Il colloquio si spegne prima di iniziare: due berretti, lui col manifesto sotto il braccio (cercavo il Fatto ma l’edicolante ha sbagliato, e oggi me tocca leggere er manifesto), l’altro con la busta di Conad: latte, pane, tre mele Melinda. Una signora di passaggio: “Non mi vergogno a di’ che ho votato Pd”. Sembra infatti dalla circospezione con la quale in tanti volgono lo sguardo sul simbolo del partito di Renzi alla parete, che il Pd si sia trasformato in una ridotta di viziosi e non fa chic farlo sapere in giro.
SI ALZA IL SOLE e la via del voto si fa più densa, al centro di Roma anche più solenne. Via dei Giubbonari è il passaggio laterale per raggiungere piazza Farnese, ma è anche il luogo del dolore: questa via, che collega piazza Argentina a Campo de’ Fiori, era nota per ospitare la sede storica del Pci e sempre, finché è esistita, l’Unità affissa all’esterno. La sezione non c’è più, la gloriosa targa in marmo è stata rimossa e solo l’intonaco scrostato elenca i confini esatti di ciò che c’era ed è oggi defunto. Dietro Farnese la fila è lunga e più vitale. Il voto resta per tanti, e per fortuna, un esercizio felice. “Ammazza quanti siamo”, sibila disperata una nonna alla nipotina già esausta. Invece siamo gli stessi di sempre, perfino un pochino meno. La fila è provocata dalle regole nuove: il cosiddetto bollino antifrode, misura votata all’unanimità dal Parlamento, che obbliga gli scrutatori a rimuoverlo dalla scheda votata e trascriverne il numero identificativo.
UN SOVRAPPIÙ di burocrazia che pesa, infastidisce e rallenta. Signora già in crisi di nervi: “Ma che davero?”. Davvero, e bisogna attendere. Sedie nei corridoi, i più stanchi sono gli anziani, qualcuno cede il posto, qualcun altro si arrende: “Torno a casa”. Una vecchina: “A 89 anni chi mi doveva dire che sarei ancora tornata a votare contro i fascisti?”.
I fascisti, anzi la destra sociale italiana, ha un luogo eletto nella Capitale: piazza Tuscolo, quartiere a est appena dietro le mura. “Un voto contro gli africani, li dobbiamo buttare fuori”, spiega lui a lei. Due trentenni, due voti che da quello che fu il Msi e poi An si spostano verso Salvini e la sua nuova Lega che diviene anche sotto la Padania il presidio dei valori fondanti della destra. A mezzogiorno la fila si fa insopportabile, il Campidoglio dirama un’allerta anti caos: non correte ai seggi all’ultimo minuto. Anche Milano fa così, anche Firenze: il bollino rallenta e infastidisce. Per il Pd è anche un pensiero in più: in questa già magra campagna elettorale ogni voto che si perde vale doppio. Arrivano in tv le foto dei leader che vanno al seggio. Tutti si fanno ritrarre al momento di imbucare il voto. È una pratica vietata dalla legge, cioè da loro stessi. Vige anche in questo caso il principio della deroga, che è il male endemico della politica: la legge è per tutti tranne che per chi la scrive. Flash su Maria Elena Boschi mentre impugna la scheda a due centimetri dalla buca. Così pure la ministra Fedeli. Così perfino Pier Luigi Bersani che nella distrazione imbuca la scheda senza attendere la sbollinatura. Dovrà essere considerata nulla. Metafora grandiosa delle ristrettezze in cui la sinistra si trova per sua colpa.
E IN QUESTA giornata poteva mancare Silvio Berlusconi? Due tette gli si fanno incontro, è una ragazza del movimento delle Femen, la protesta del seno nudo, che gli para dinanzi il cartello: scaduto. Imbarazza e strappa sorrisi questa manifestazione che è insieme protesta e nemesi. Le tette davanti a Berlusconi. Come dare all’assetato due fette di prosciutto. Intanto da Palermo la notizia: alle nove del mattino molti seggi erano ancora chiusi. Errori nella perimetrazione dei collegi. Nella notte hanno dovuto ristampare 200 mila schede. Caos sul caos. Il ministro dell’Interno Minniti, sempre sugli scudi, oggi che dirà?
Da: Il Fatto Quotidiano, 5 marzo 2018