Regionali Il segretario dem scende dal treno e va qualche ora a Catania:
discorso lampo per il candidato-rettore, i soliti selfie e soltanto cento persone in un hotel del centro
L’incertezza, perché di contrasto non si può parlare, è sulla frazione di minuto. Matteo Renzi, secondo accaniti osservatori etnei ieri accorsi in sala, ha presentato la candidatura di Fabrizio Micari, il professore-rettore ora candidato alla guida della grande Sicilia, in tre minuti e mezzo netti. Altri giurano che abbia sforato i quattro minuti. Le divergenze si fanno più fitte sul tempo impegnato dal segretario per concludere il suo primo (e sembra unico) intervento pubblico nell’isola: solo tre minuti e venti secondi per alcuni, una performance addirittura migliore di quella appena mostrata. Si sarebbe infatti tenuto sotto di dieci secondi alla già notevolmente stringata introduzione; altre fonti riferiscono invece che nella curva finale del discorso si sia lasciato un po’ andare, e abbia sforato, nell’imprevisto prolasso lessicale, il tetto dei 5 minuti.
I cento spettatori presenti ieri a Catania (assente però il sindaco Enzo Bianco), escludendo dal conto la numerosa troupe dell’informazione, sono stati testimoni del più breve spettacolo della storia della politica. Merito di Renzi e anche di Micari che da uomo prestato alla contesa, ingegnere misurato e sognatore, viaggia su altre lunghezze d’onda. Ha infatti coniato per sé uno slogan lontano dalle tradizionali connessioni sentimentali siciliane: “La sfida gentile”.
DI GENTILEZZE, in questa zuffa elettorale silenziosa ma feroce, se ne sono viste poche e di volti felici neanche l’ombra. “Abbiamo contro i nemici della cuntentizza”, ha detto il rettore traducendo nel linguaggio popolare locale il noto motto sui “gufi”. E infatti Renzi ha apprezzato molto: “Bella questa locuzione: la cuntintizza”. Il centrosinistra non è felice e infatti il segretario ha avvertito: “Ricordate sempre che il 6 novembre potremmo ritrovarci con un presidente che dovremo poi tenerci per cinque anni. Lo dico ai compagni della sinistra, ai calcoli che si fanno e spesso si sbagliano, e lo dico anche – dal momento che quest’isola ha un’anima democristiana – agli amici che ancora fanno valutazioni. Micari ha dalla sua l’onestà e la competenza. Chi altri ce le ha?”. Cancellieri e Musumeci sono i due cognomi, il primo grillino il secondo di destra, che appaiono purtroppo sempre nelle posizioni di testa dei sondaggi. “No, non è così. Ne ho fatto fare io uno che conferma le mie previsioni: siamo e restiamo tra i favoriti”. Così Micari, quando però Renzi era già andato via, salutando la Sicilia nel breve giro di un pomeriggio neanche inoltrato. L’aereo di linea è infatti atterrato all’aeroporto di Catania alle 14.50 ed è decollato alle 17.30. Il tempo di giungere in città, dieci minuti per i selfie, 35 minuti per le televisioni, sei, purtroppo solo sei per Micari. E poi ciao.
È sembrato un viaggio della penitenza nel solco di altre visite che in questa settimana hanno occupato le cronache. Renzi, diversamente dal presidente della Lazio Claudio Lotito, non si è fatto scappare di bocca “Famo ’sta sceneggiata” alla vigilia del suo incontro in Sinagoga per via dell’oltraggio antisemita della indomita cellula razzista della curva laziale, ma ieri proprio un po’così è sembrata. Una maxi photopportunity sicula a cui uno svogliatissimo Matteo si è prestato. Vero, la Sicilia, in senso proprio e metaforico, è un guaio. Guaio politico perché il Pd e il suo rettore sono realmente candidati a una sconfitta bruciante. Guaio geografico, culturale, economico e sociale perché la campagna di ascolto del leader nazionale, ingaggiata attraverso i binari d’Italia, deve arrestarsi alle porte di Reggio Calabria. Il treno di Renzi non saprebbe infatti dove andare in Sicilia. Ad Agrigento forse? Lì non c’è il treno e neanche le strade. Uguale ad Alcamo, uguale a Caltanissetta e a Trapani. “È un grande problema – aveva detto il segretario prima di salutare – il ministro Delrio ha investito tanto nelle infrastrutture che ancora non si vedono perché siamo agli inizi”. Siamo agli inizi?
IL TRENO DI RENZI no e anche il corpo del fiorentino è parso un’apparizione in una città distratta dai fatti suoi. Non un manifesto, né uno straccio d’annuncio per gli iscritti e simpatizzanti che qui a Catania sono più numerosi che altrove non fosse altro perché il capolista locale, Luca Sammartino, ingaggiato nei mesi scorsi nel mondo parallelo dell’Udc, è un portatore di voti di primo livello.
Tutto ieri si è consumato in sordina, in una sala minuta di un albergo del centro, senza sfarzi e senza sorrisi. Del resto riempire il salone della fiera alle Ciminiere, il luogo dove la politica a Catania si misura e si conta, è un’impresa non a portata di mano. Ci aveva provato, all’inizio della campagna elettorale, proprio il professor Micari. La kermesse si trasformò però in un vuoto tecnico, tanto che Mario Barresi, cronista de La Sicilia, dovette annotare nel taccuino non più di trecento in sala. Ieri la sosta tecnica renziana ha eliminato anche questo problema. Micari, comprensivo: “Ha tanto da fare, la settimana prossima vola da Obama”. Fiducioso però: “Convengo con lei che sono partito basso, ma adesso il volo è spiccato, noto simpatie e sorrisi ovunque. Il consenso non manca”.
Il candidato è anche innamorato e l’altro ieri si è pure sposato: “Ho pensato: se il 6 novembre vinco vorrei che iniziasse anche con la mia compagna una nuova, rinnovata storia d’amore. Ho tolto solo un’ora alla campagna elettorale e ho infilato l’anello all’anulare”.
Da: Il Fatto Quotidiano, 28 ottobre 2017