Trovatevi voi davanti a un burrone. Sarà il panico che vi farà gridare, vi darà la forza di sorreggervi e indietreggiare. Quando sarete salvi il panico farà posto alla paura, penserete a quel che stava per capitarvi e non è accaduto, per fortuna. Penserete al vuoto che vi stava prendendo. Il vuoto, per tre scrittori, è il nuovo mondo contemporaneo e ostile. In quel vuoto stanno perdendosi i loro figli e forse pure i nostri. Perciò – a distanza di qualche settimana –tre giornalisti, tutti e tre firme del Corriere della Sera, hanno licenziato altrettanti libri nei quali scrivono da papà piuttosto confusi, un pochino anche alienati, di certo stupìti della brutta piega che va prendendo il mondo.
ANTONIO POLITO per esempio (“Riprendiamoci i nostri figli”) non solo non capisce ma neppure si adegua. Fiorisce un ’educazione alla vita selvaggia, autoctona, provvisoria, instabile. Non parliamo di bon ton naturalmente, ma di sentimenti: educazione alla bellezza, al senso civico, allo studio, alla fatica, alla disciplina. Non c’è più autorità, lui dice. E ha ragione. La scuola diploma, non giudica e non seleziona. La politica è estranea a noi figurarsi a loro, la religione è assente, non è neanche tema di discussione. Cosa resta? Il telefonino, gli risponde Aldo Cazzullo (“Metti via quel cellulare”), che tutto tritura, sbianchetta, risolve nella dimensione dell’istante. È lo smartphone l’unità di misura della conoscenza e della connessione: il tempo limitato, parliamo di secondi, al massimo di qualche minuto, in cui le conversazioni si svolgono nel nuovo linguaggio digitale che Polito, da padre accorto, tenta di decifrare. Sono papà curiosi ma impauriti, e Pierluigi Battista (“A proposito di Marta”) racconta come stesse rinchiuso in una teca di vetro, sigillato nell’età perduta di chi ormai guarda la vita torcendo il collo al l’indietro, il nuovo stile, i nuovi modelli e anche i nuovi miti di Marta, sua figlia venticinquenne.
Tre libri che tre papà hanno scritto ai figli per parlare però di se stessi. Tre genitori impauriti dalla nuova religione civile giovanile, un individualismo progressivo e agnostico, che ora devono però provvedere a esaminare le ragioni del narcisismo degli adulti.
Resta insopportabile per ogni papà non riuscire a capire il proprio figlio. Ma è sempre stato così. E i nostri nonni allora? E i nostri papà? E noi? Oggi, rispetto a ieri, è però insopportabile anche l’impossibilità di misurare la profondità della rottura del mondo. Siamo costretti a segnare con la matita il miliardo di passi che ci separano dall’oggi, noi che siamo nati ieri. I giornalisti sono abituati a raccontare il mondo, a spiegare il corso degli eventi e anche a giudicarli. Indicando il bene e il male, il giusto e l’ingiusto. Il fatto è che ora, davanti alla prova di una modernità che sradica non solo le competenze e i mestieri, ma i linguaggi (e l’educazione alla vita! direbbe Polito), a noi papà non resta che riscoprire la paura, pensare ai nostri anni, a ciò che siamo stati e a quel che non possiamo più essere.
SARÀ PER TIMORE che la nostra biblioteca venga incellophanata e un po’ derisa, esattamente come il nostro sapere che è stato la nostra potenza e la speranza dei nostri genitori. In fin dei conti quel che ci scoccia davvero, anche più del timore di conoscere il volto del futuro che attenderà i nostri figli, è il fatto di non avere più una eredità da trasmettere. È il nuovo mondo, res nullius.
Da: Il Fatto quotidiano, 25 ottobre 2017