Le autorità hanno riferito che la strage non ha una matrice terroristica”. Ci basta questa notazione, che la conduttrice del telegiornale spesso illustra con un eloquio più tranquillo e disteso, per farci tirare un sospiro di sollievo.
Armando Sanguini, ambasciatore di lungo corso e oggi impegnato all’Ispi, l’istituto che si occupa di politica internazionale, rileva, col giusto stupore, il paradosso che riempie l’Occidente sbandato e cinico.
Il terrorismo islamista copre oramai tutto il fronte della cattiveria umana. Come se detenesse il monopolio delle azioni suicide, delle stragi inopinate. È il re del Male e i suoi morti contano e pesano più di qualunque altro.
È il nemico eletto, l’odiatore per antonomasia, l’omicida della porta accanto.
Sviluppiamo l’ipocrisia e la cecità come anticorpo della nostra paura. Ricorriamo a questa falsa difesa immunitaria e tentiamo anche di crederci.
E invece?
E invece sta nascendo dentro le viscere della nostra società quel che possiamo definire come un terrorismo laico, svuotato di ogni passione o sviluppo ideologico.
Un terrorismo individualista, nichilista, di prossimità.
Lo stragista di Las Vegas ha compiuto un atto tipicamente terroristico mutuando dall’alfabeto dell’islam la costruzione dell’attentato. Perché l’ha fatto? Vattelappesca. Non lo sapremo mai. Depressione, odio, suggestione, puro spirito emulativo? Boh.
L’Occidente però non prevede il nemico senza una giusta causa.
Infatti non lo riconosce come nemico, lo riduce a caso psichiatrico. Ogni volta che qualcuno compie un atto omicida plurimo, o solo tentato, che si concluda o meno, si arrivi al suicidio dell’attentatore o solo alla sua fuga, le forze di sicurezza esaminano il curriculum e decretano: è islamista o non è. Esulta al Qaeda oppure no. L’inclusione o l’esclusione in questa speciale lista del Male assurge a convalida dell’agguato.
Come la cattiveria si mitigasse, e ogni sfregio sia alla dignità umana sia alla vita di noi stessi, subisse un fermo immagine, fosse una pausa della nostra condizione umana.
Ciò che non vediamo è proprio la disseminazione di un microterrorismo individualista, senza neanche le ossessioni o le deviazioni religiose, senza il peso di conflitti primordiali: sud contro nord del mondo, integrazione o esclusione.
Terrorismo anarcoide, occasionale e provvisorio.
Singolare, provvisorio, eventuale, laico.
Le democrazie hanno bisogno di una forza organizzata per obbligarle alla difesa. Ieri era il terrorismo rosso, italiano o tedesco. Diverso ancora da quello spagnolo dell’Eta e da quello irlandese dell’Ira. Raccoglievano anche spinte territoriali.
Ben dice. Come vede, più la democrazia si svuota dei suoi simboli e dei suoi valori, più ha a che fare con fenomeni di protesta violenta che nascono per gemmazione e si distribuiscono con approssimazione. Si può sparare dove capita, o anche accoltellare o, per ultimo, ingaggiare con le vittime un conflitto stradale.
Le autobombe o anche gli incidenti di strada erano l’arma palestinese contro l’occupazione israeliana. Eppure non ha fatto proseliti oltre i confini del proprio teatro di guerra.
Perché era una lotta che fondava le sue radici nell’idealità, affermava, sebbene con gesti e messaggi violenti, una reazione organizzata a ciò che considerava una sopraffazione.
Qui siamo al terrorismo random.
Un’espansione originale che trae origine dal pattume ideale, dalla stasi delle coscienze e della politica, dall’assenza di connessioni sentimentali. L’Occidente cos’è? E soprattutto chi è?
E siamo pure felici che sia nichilista.
In qualche modo siamo rasserenati. Nella nostra speciale classifica del dolore e della paura, solo la parola islam ci desta dal torpore. Ogni altro coltello o pallottola non conta.
Da: Il Fatto Quotidiano, 14 ottobre 2017