Misuriamo, scemenza per scemenza, la malattia del web insieme a Ermes Maiolica, capo scemo che è riuscito – avendo l’unico merito di scrivere idiozie – a godere di una certa notorietà.
Ha persino un nome d’arte e tanti che la intervistano e la chiamano a incontri pubblici.
Ermes è rimasto, ho solo cambiato il cognome: faccio Piastrella all’anagrafe e mi è parso giusto chiamarmi Maiolica.
Non ha un’arte e non ha una parte.
Metalmeccanico a Terni, vita un po’ sfortunata e un po’ appartata, sono stato seguace delle idee complottiste. Tutto il male fuoriusciva da una unica sorgente, un disegno preordinato dai poteri che controllavano il mondo e lo schiavizzavano.
Ha iniziato a scrivere bufale, quelle che oggi si chiamano fake news.
Non conoscendo Internet, figurarsi i social, ho iniziato a giocarci. M’è venuta l’idea di fare dei post impossibili e incredibili e ficcarli dentro i gruppi di discussione virtuale.
Ha notato subito che parecchi idioti abboccavano.
Ho affinato l’arte del fake, ho iniziato a proporre cose sempre più avanzate.
Stronzate sempre più grosse per testare quanto minchioni fossero gli italiani.
Ho conosciuto il successo vero, con migliaia di like e di commenti, con un post sulla Kyenge, l’ex ministro di colore del governo Letta. Ho scritto che la Kyenge stava dando le case popolari ai rettiliani, un popolo della fantascienza.
E gli idioti?
Madonna che bello. Un successo stratosferico. Solo pronunciare il nome della Kyenge faceva venire sui like, poi collegato alle case popolari e infine a un popolo diverso dal nostro lo faceva esplodere.
I rettiliani.
Era la mia fantasia.
Ha fatto bingo.
E non mi sono fermato più.
Penso sempre che Internet abbia mostrato che il fondo della nostra stupidità non ha in effetti un fondo. Più scendi giù, più ti tira giù.
Puoi scrivere quello che vuoi. Per rendere virale un post, fallo passare di computer in computer, basta veramente poco. La gente poi è stanca, arrabbiata, senza soldi e si beve tutto quello che scrivi.
È un fenomeno, Maiolica. Come quando ha fatto il post sulla decisione di Agnese Renzi di votare No al referendum di suo marito.
È stato magnifico. Ho obbligato il premier a parlarne, segnalando che era un fake.
E quella su Umberto Eco e il suo sì.
Hai voglia!
Ho appena letto di un post, credo non sia suo, nel quale si dice che il fratello della Boldrini è stato assunto come parcheggiatore della Camera a 30 mila euro al mese e diriga contemporaneamente 49 cooperative che gestiscono migranti.
Metà di chi mette i like lo fa per divertirsi, l’altra metà invece ci crede per davvero.
E lei si diverte tanto a montare bufale.
Con le bufale ho ottenuto la notorietà.
Non crede che anche lei abbia un problema psicologico da affrontare?
Devo dire che la notorietà fa bene, mi hanno chiamato un po’ dappertutto, anzi il mio periodo d’oro si può dire che è passato.
Non fa più bufale?
Non come un tempo.
Non tirano più le sue?
A volte mi metto d’impegno e ne caccio una quantità in poco tempo. Vedo sempre che vanno forte.
Lei sarebbe il capo scemo.
Guardi che sul web la gente è indifesa, poi la crisi ha portato tanto nervosismo, anche odio cieco contro chiunque. E quel chiunque, se è diverso e magari di colore, è divenuto il bersaglio prediletto.
Dopo i politici.
Quelli fanno sempre un sacco di like. Puoi scrivere di tutto su di loro.
È l’odiatore perfetto.
Un po’ sì. In gioventù facevo il punk, vivevo per strada, odiavo tutti.
Prima di scoprire il web.
Poi c’è stata l’esplosione.
Pensi a quando la sua notorietà finirà. E non le basterà una scemenza, una cazzata enorme per ritrovarla.
Il web sta cambiando faccia, non è più facile come prima ficcare le bufale dentro i gruppi di discussione e vederla diventare virale.
È un bel problema.
Bisognerà affinare la tecnica, inventare nuove strade.
Da: Il Fatto Quotidiano, 26 agosto 2017