ALFABETO – LETIZIA DI MARTINO: “Queste parole, righe per tenerci compagnia”

letizia-dimartinoLetizia Dimartino aveva 57 anni quando ha incontrato Facebook. Ne ha fatti passare quattro tenendolo a distanza di sicurezza. Poi si è decisa. “Ho preso coraggio, nella mia vita ho amato solo la poesia. Mi son detta proviamo con la prosa”. Oggi ha 64 anni, vive a Ragusa ed è divenuta la narratrice di Facebook. “Sono ammalata, obbligata alla sedia, allo sguardo di una stanza, di un punto di luce, di un angolo di una finestra. E racconto una veduta, un ricordo, un oggetto, una piuma. I miei amici online mi aspettano. Così ogni giorno. Appena posso scrivo. Poche righe per tenerci compagnia”. È divenuta la narratrice istantanea, la scrittrice dell’ora e qui, consolatrice di gatti e finestre, aiutante di campo dell’anima dei navigatori di Internet.

LA BADANTE

Wioleta, prima badante di mia madre, dalla Polonia mette il suo like ai miei post. Ha occhi azzurri e capelli sottili e leggeri di biondo striati. Giovanissima venne da noi, litigava e ci amava. Faceva tanti shampoo e puliva mia mamma, un senso di colpa mia e la sua abnegazione e pure la rivolta necessaria. La sera friggeva patate e mele, in estate si dondolava sulla terrazza, ridevamo e ogni tanto no. Wioleta che adesso ha un figlio bianco e biondissimo. Quando partì trascinava sacche pesanti più grandi del suo piccolo corpo perfetto. E non ci vedemmo più. Fu il nostro tempo.

ALLA FINESTRA

Alla finestra adesso: due ragazzini spingono un passeggino e scendono per una strada appesa ridendo e saltellando. Una donna anziana e grassa sale lentamente aiutata da un bastone, mi pare di sentire il suo fiato a ogni fermata necessaria al riposo. Due uomini con giubbotti smanicati attendono che i loro suv scuri vengano lustrati al lavaggio. La signora in total nero ferma l’auto davanti alla farmacia e incontra un’amica, parlano lisciandosi i capelli e toccando le borse firmate. Un’ambulanza sosta senza sirene. Quattro ragazze indossano magliette aderenti e mostrano i loro ventri debordanti gesticolando e ridendo, le mani a coppa sulla bocca e il capo alto e sfrontato. Striature di nuvole leggere e vetrate aperte. Maggio si presenta in un pomeriggio qualunque. Io sono a letto e ogni tanto mi alzo per cercare di esistere.

MIA MADRE

Mia madre in guerra sapeva ridere. E continuò nei decenni successivi. Negli anni Sessanta era felice e io con lei. Tutto era finito e tutto risorgeva. Nei Settanta avemmo paura, viaggiare divenne difficile, cercavamo di non pensarci. Guardavamo le valigie, le stazioni erano luoghi in cui non stare. Ma vivemmo lo stesso, con insana fiducia. Diceva sempre che avrebbe rivissuto ogni attimo, e ne ebbe di bruttissimi. Di dolorosi. Oggi il suo passo da ricordare mi mette allegria, anche se attraversa una strada di un luogo triste, la casa lontana e distrutta, la città bombardata. I nostri sono altri tempi, non il sorriso. Quello della gioventù.

MIO PADRE

Mio padre guidava correndo lungo la strada che dal mare porta in città, una specie di salita inconsapevole, con le nuvole piene sui monti. In quella mezz’ora io pensavo fortemente. Le mucche nei prati delineati dai muretti a secco, i gelsi frondosi, le masserie con i cani ululanti e scuri, e i desideri che si addensavano, le fantasticherie necessarie per sentirsi felici. Immaginavo amori inesistenti, sorrisi inaspettati. Tenevo il cappotto allacciato, desideravo vedere un film al cinema, scuotevo i capelli. E credevo ai baci, solo ai baci. Era così che finiva la domenica, con i baci mai dati.

IL GATTO

Mi sento come un gatto di casa i cui padroni escono e lo lasciano per ore da solo a pensare alla sua giornata, fra un divano e un letto scomposto. Nel silenzio. Poi tornano e lui ha la follia delle sette di sera. E si incazza. E fa la pipì fuori. E chissà cosa pensa. E chissà che vorrebbe, che desideri cova… che giungle e agguati. Io e il gatto ci addormentiamo così, sognando strade e vita.

LE MANDORLE

Qui da noi nelle sere estive, col tramonto appena iniziato, si offre il ‘biancomangiare’. Le mandorle pestate e che si strizzano a farne il latte e poi l’amido per addensare la crema perlacea. Si adagia sulle foglie del limone appena colte in giardino. Tremola tutto, è delicato e freddo. Il sapore è leggero, appena accennato, lo zucchero forte. E intanto i cani abbaiano lontani, il cielo è rosa scuro e viene dentro una malinconia, il senso del peccato che si disperde, le gambe molli, il sonno si avvicina e i profumi intorno si fanno intensi.

POSILLIPO

Mio padre cantava canzoni napoletane, pensava a Posillipo. Mia nonna Il soldato innamorato e io piangevo mentre la sua voce tremava. Mia mamma Sempre della Ferri, e i suoi occhi si sperdevano. Oggi nessuno canta vicino a me. E io ho smesso da tempo. Niente dovrebbe finire così, niente.

Da: Il Fatto Quotidiano, 13 maggio 2017

Share Button