La Reggia di Caserta è il punto di approdo degli ultimi, per molti è un regalo agli occhi, una piccola vacanza verso il bello. Alla Reggia si va specialmente nei giorni di festa (quando non si paga) ed è un’avventura familiare, defezione collettiva – mamme, figlie, zii, nonni anche acciaccati – e fuga dall’escrescenza urbana della cintura napoletana.
La Reggia è così grande da sovrastare e intimorire la piccola e anemica Caserta, pied à terre di Napoli.
Finora era tenuta in freezer, lasciata boccheggiare, anzi incaprettata ai riti e ai vizi della burocrazia.
Più chiusa che aperta, più sporca che pulita. Il bolognese Mauro Felicori è stato chiamato a dirigerla due anni fa. Ed è stata una fortuna sia per lui che per la Reggia.
“È il più grande museo popolare italiano. È la pietra preziosa dei Borboni, l’imponenza intramontabile dei suoi giardini è un dispiegamento intensivo di bellezza. Quando ho deciso di concorrere per la direzione dei musei italiani non ho avuto dubbi: volevo andare con tutte le mie forze a Caserta”.
La sfida impossibile. L’imponenza dell’arte nel luogo in cui l’arte è sconosciuta; la presenza dello Stato nei luoghi dell’anti Stato. Il buono che sfida il cattivo.
Sfida bellissima ma soprattutto possibile. Nel 2015, quando sono giunto, avevamo 450 mila visitatori. Oggi ne contiamo circa 700 mila. Sono felice naturalmente, ma ancora non sazio.
È merito del Nord che è sceso al Sud?
Ma che sciocchezza è questa? I migliori cervelli viaggiano da Sud verso Nord. Sente mai dire: quel medico dell’ospedale emiliano è siciliano o pugliese o campano o calabrese? No: è solo bravo. Abbiamo fatto così il callo a questa trasfusione di competenze a senso unico che colpisce, sembra quasi eccentrico che un emiliano vada a cercar fortuna nel Mezzogiorno. Suscita stupore, una punta perfino di riprovazione: ma come, deve venire lui dal Nord? Siamo abituati all’opposto.
Lei è giunto qui che la Reggia barcollava.Continue reading