La festa è qui, nel quartiere rosso dei Parioli, una delle due circoscrizioni dove il Pd vince sempre a Roma. Siamo al Parco dei Principi, due piani sotto la Spa e l’area fitness. È un cinque stelle di gran lusso, c’è tutto quel che si vuole dalla vita e quel poco in più che fa la differenza: la royal suite da 394 metri quadri la trovate in offerta questa settimana a 10 mila euro a notte (inclusi american breakfast e wifi).
MATTEO sta procedendo a grandi falcate verso il finale di partita. Il delegato Zunino, che pure sta con lui, non capisce ma si adegua: “Stiamo andando verso la scissione tra scrosci di applausi mi pare”. Si corre infatti e Renzi, l’ex campione del maggioritario, da oggi sarà il segretario del partito del proporzionale. Campione della rottamazione altrui, ora di sé dice: “Si può eliminare un problema, non una persona”. Ambiva al 40%, si accontenterà di una buona metà dei voti, e se tutto dovesse andare storto saranno almeno cento i deputati che condurrà a Montecitorio, lui compreso, oggi momentaneamente a spasso. Ed è parecchio conveniente essere a capo di un Pd, anche se dimagrito. La ditta finora ha dato ottimi utili: ha sfornato gli ultimi quattro presidenti della Repubblica, l’unico rappresentante italiano nella commissione Ue, la maggioranza dei sindaci e dei governatori. Scelti dal premier – e gli ultimi tre sono del Pd – la totalità dei vertici delle aziende pubbliche di maggior peso. Perciò il sogno è fare il bis “senza caminetti e senza correnti”. Da solo, com’è di sua abitudine. “Vi siete accorti che ora in Parlamento la settimana è più corta di quando ero io al governo?”. Senza Renzi il regno di Fannullonia. Finalmente si riparte. Le uniche facce emaciate si scorgono tra i vecchi, i più importuni – seppure amici – sono dei veri cacadubbi. Il solito Piero Fassino a spiegare che separarsi è anche un po’ morire e che dire di Walter Veltroni? Ha mazzolato quelli e questi. La minoranza e la maggioranza, avvertendoli del ruzzolone che aspetta tutti. Con altre parole lo stesso concetto affrontato da Delrio nel fuorionda di qualche giorno fa: “Con la scissione si apre una crepa nella diga. Non sai l’acqua dove andrà a finire, magari ti travolgerà”. Magari lo dice a chi?
“Salutiamo il conducator assente”, è Giachetti a svillaneggiare D’Alema malgrado la cautela di Orfini il presidente dell’assemblea che offrendogli il microfono gli dice: “Mi raccomando Roberto”. La sala è su di giri e Renzi anticipa che bisogna rimettersi subito al lavoro “per far ripartire l’Italia”. “Basta con la settimana bianca delle discussioni interne!”. Ha la camicia arrotolata come nella foto alla festa dell’Unità di Bologna con i segretari socialisti di Francia e Spagna. Erano bei tempi, i tre ragazzi nemmeno tre anni fa scalavano il mondo. Loro si sono persi, lui è qui a spingere – garantisce – per farci ripartire. Il povero Gentiloni ascolta e misura i mesi che lo dividono dall’addio: sette dovrebbero essere, se Matteo ha fatto bene i conti e riuscirà a portare gli italiani alle urne a settembre.
GLI ASTANTI si incupiscono solo un attimo, quando Cuperlo parla di gorgo. “Fatevi spiegare la radice storica del termine da qualche comunista clandestino seduto al vostro fianco” gli dice intimando corsi di recupero. L’ex bracciante Teresa Bellanova non ci sta: “E io chi sono? Anch’io vengo dal Pci ma resto con Renzi. E basta con questa puzza sotto al naso!”. Un applauso la saluta, e di sicuro è uno dei più forti della giornata. Un secondo lo vorrebbe per sé il collega di governo Giacomelli quando prende in giro Emiliano: “Ho ascoltato lui o il suo sosia? Ieri Michele diceva una cosa, oggi un’altra”. Ma Matteo, il capo risorto, è magnanimo e invita gli amici ad esultare con moderazione, a rottamare sotto traccia, a chiudere in fretta la telenovela. Infatti il segretario, pur di evitare fraintesi – volessi mai che la minoranza ci ripensi e faccia dietrofront – rinuncia alla replica. Così, felici e contenti, si torna a casa. Le auto blu sono all’ingresso, in attesa delle Autorità. Il resto si arrangi, c’è pure sciopero dei taxi.
Da: Il Fatto Quotidiano, 20 febbraio 2017