Se ne vanno. Gli ultimi saluti ieri e nello stesso teatro che tre anni fa – esattamente tre – diede il benservito a Enrico Letta. Da oggi cambiano le quote azionarie del Pd che assume le sembianze di una Margherita formato maxi e nella proprietà di Matteo Renzi entrano con cifre importanti Dario Franceschini, Graziano Delrio, Andrea Orlando e Maurizio Martina.
È UNA IMMAGINE, una sola foto – Enrico Mentana la mostra durante la sua diretta televisiva – a immortalare doviziosamente il recinto degli scissionisti, i traslocatori o trasvolatori riuniti nel rito dei saluti finali. In pochi metri quadrati e tre file di poltrone hanno preso posto, e certamente di loro spontanea volontà, Massimo D’Alema, in posizione centrale e silente, da perfetto deus ex machina, alle spalle Michele Emiliano, al lato Pier Luigi Bersani, poi Roberto Speranza, quindi Guglielmo Epifani. A fare da corona due pretoriani del sud e del nord dell’Italia, il calabrese Nico Stumpo e il veneto Davide Zoggia. Nel ritratto, e qualcosa vorrà pur dire, anche Marco Minniti, il ministro dell’Interno, dalemiano di tradizione, dal cuore appassito per il vecchio amore, ieri infatti un po’ afflosciato e forse fuori posto. Quando ha visto il flash – per darsi un po’ di ritegno – si è lievemente piegato alla sua sinistra, ma il clic era già andato a segno.
“Se ci conduci in un congresso solipsistico le conseguenze saranno gravi”. Nelle parole di Bersani, durante un discorso pieno di argomenti anche molto ragionevoli, l’ultimo avvertimento. Ma la sceneggiatura era stata già scritta e le parole dell’ex capo della Ditta che ora va in affitto mostravano quel che già si sapeva. Quale può essere la conseguenza grave se non la rottura definitiva? “È così, è una sciagura, qualcosa che non doveva succedere. Pensare che dieci anni fa ero il solo perplesso a sciogliere il Pds. Mi dissero che non era il caso di tenere la sinistra in un partito del diciotto per cento. Ora vanno a fare una Cosa che arriverà al dieci, lasciando completare a Renzi la sua Opa sul Pd”. Gianni Cuperlo, l’ex fedelissimo dalemiano, è in ambasce: “Mi batterò fino all’ultimo perché non succeda, ma i giochi sembrano fatti”. Renzi si vuole contare subito in un congresso che deve svolgersi prima dell’estate. Neanche Andrea Orlando intervenuto a sorpresa è riuscito a farlo rallentare: “Fare il congresso durante la campagna elettorale per le amministrative non ha senso. Sarà la fiera dell’antipolitica”. Niente da fare. “Mi dispiace Andrea…”, gli ha replicato Renzi. In primavera la conta sul nuovo segretario, in estate/autunno le elezioni.
Per quel tempo i traslocatori avranno edificato una nuova casa oppure, come appare plausibile, si saranno accasati dentro il grande e largo Campo progressista che sta realizzando il milanese Giuliano Pisapia. Perché è con Pisapia che Renzi dovrà vedersela, insidioso competitore sia per la premiership che come front man per una contro Opa. È un fatto che due giorni fa a Bologna l’ex sindaco di Milano sia stato benedetto da Romano Prodi: “Ho stima personale per Pisapia. Vediamo come si articolerà la proposta”. Parole che hanno fatto esultare Virginio Merola, sindaco di Bologna, anch’egli Pd e anch’egli con la testa altrove: “Quello di Prodi è per noi un importante incoraggiamento ad andare avanti”.
Tutto si tiene, forse.
Da: Il Fatto Quotidiano, 14 febbraio 2016