Il piemontese e il napoletano. Il riformista e il populista. Il primo nell’establishment fino al collo; in piazza e con il popolo il secondo. Tra Sergio Chiamparino, presidente del Piemonte e già presidente della Compagnia San Paolo, ex sindaco di Torino, prima ancora deputato, e Luigi de Magistris, sindaco di Napoli, la distanza apparente è almeno equivalente ai chilometri che separano le due città. Abbiamo rivolto loro le stesse domande e ciascuno, senza conoscere le risposte dell’altro, ha detto la sua. L’esito del confronto è meno scontato di quanto appaia e i due misurano i passi per vincere la partita della vita: come governare in tempi di crisi, quando l’odio e il rancore divengono identità sociali.
Populismo è la parola ricorrente di questa fase. Sta divenendo un tic collettivo: non c’è ora del giorno che non si invochi o si maledica il populista che è in noi.
Chiamparino: La paura che contamina ogni luogo e ci corre dietro spinge le fasce più deboli ed esposte alla crisi alla propria difesa attraverso l’unica arma a disposizione: odio verso tutto ciò che appare come nemico, cioè il potere costituito. Rancore verso coloro che sono incasellati nell’establishment: i ricchi che conservano, i potenti che distraggono. Siamo sommersi da merci che sconfiggono i nostri affari e da persone – i migranti – che destabilizzano il nostro modo di vivere. Il populismo è la traduzione politologica di una reazione popolare in cui le virtù sono tutte da una parte e i vizi d a un’altra.
de Magistris: Se per populismo intendiamo un potere che reclama di stare più dentro al cuore popolare io mi sento populista. Bado a conservare una connessione sentimentale con chi ha zero, a fare sempre un pezzetto di strada insieme agli ultimi e a comprendere le ragioni della indignazione. Che è un sentimento apprezzabile perché libera energie vitali e tiene a bada la paura che, se esonda, porta alla marginalità e, nei casi estremi, all’eversione.
C: Ricordiamoci sempre della frase del compagno Pietro Nenni: “C’è sempre un puro più puro che poi ti epura”.
dM: Se poi l’indignazione deve significare rabbia ottusa o depressione, banalizzazione di ogni decisione, repulsione per ogni ragionamento più complesso, se si intende il populismo in questa accezione, neanch’io condivido.
Sembra oggi che l’arco costituzionale venga compreso tra il Pd e Verdini, con Berlusconi al centro del gioco. Tutti dentro e legittimati, malgrado le storie, i profili – a volte alcuni schiettamente criminali – e le idee. E poi i movimenti popolari, parlo dei cinquestelle ma anche della Lega e di Fratelli d’Italia, visti come l’Msi di anni fa: sul limite dell’eversione.
C: Non penso che Lega e M5S abbiano coniugazioni comuni e possano essere accomunati in un fascio antidemocratico. Mi sembra solo propaganda questa. E per quel che vedo qui a Torino dove la sindaca Chiara Appendino è l’espressione del Movimento, noto un loro atteggiamento molto istituzionale, dentro al sistema dei poteri costituiti, rispettosi della cifra civile. A volte io sembro più eccentrico e fuori dalle regole di quanto non appaia la sindaca.
dM: Il Pd con Renzi è l’oligarchia al potere e ha collegato il suo destino a quello dei Verdini e dei Berlusconi. Amico fino alla sudditanza dei grandi potentati economici, dentro o nei paraggi dei grup pi finanziari, occupando lo Stato e ogni sedia dell’amministrazione pubblica. Il giochetto è di far apparire chi è ostile a loro come ostile al buon governo e anche alla democrazia. Si chiama demonizzazione dell’avversario.
Quanto a demonizzazione pure i grillini sono maestri.
C: Qualche volta mentre torno la sera a casa mi fermo a bere una birra con questi ragazzi dei cinquestelle. Sono bravi ragazzi e gli dico sempre: guardate che nel Pd non siamo tutti delinquenti e ladri.
dM: I cinquestelle all’origine rappresentavano un movimento trasversale e di popolo. Ho partecipato ai primi meet up ed erano altra cosa rispetto ad oggi dove la disciplina verticistica è assoluta e blocca ogni pensiero personale. E poi i loro capi sono arroganti. Quando vuoi scambiare un’idea con qualcuno di questi sbuca il Di Maio di turno che intima: non facciamo alleanze con nessuno! Ma chi vuole allearsi? Parlare significa allearsi?
È una società che vede il buco nero della crisi interminabile con la classe dirigente che non riesce a ritrovare un minimo di reputazione pubblica.
C: La politica si addensa nei luoghi tradizionali che non gestiscono il potere che noi gli accreditiamo. C’è come un effetto ottico. Penso al consiglio regionale, caricato di chissà quante aspettative ma che alla fine può poco. Ma anche il Parlamento così monumentale e presente nella vita quotidiana ha armi spuntate. In verità il potere che decide c’è dove non si vede. In Europa per esempio. E scelte politiche che cambiano la vita di tanti sono figlie delle scelte di grandi multinazionali, potentati economici e finanziari che pure sono difesi da una lente che opacizza fino a renderli invisibili.
dM: Perciò ho voluto legare sempre di più il popolo al Palazzo. Fondando questo movimento, DemA, che sta per Democrazia e Autonomia e vuole indicare una via possibile: trasversalità delle idee ancorate alla base della piramide sociale. È il popolo che deve guidare i processi e sono le autonomie territoriali che devono difendere le identità. In una città come Napoli siamo riusciti a calmierare la rabbia e a far esplodere energie positive. L’Italia ha bisogno di questi fermenti, altro che la cupezza e la mediocrità istituzionale del Pd.
Il Pd che idee ha? Solo quella di erigere un muro a difesa dei nuovi barbari?
C: Il mio partito deve decidere alla svelta un congresso e capire dove vuole andare e cosa vuole fare da grande. Pensano che se Grillo fallisce la prova del governo locale i voti che sono andati a lui torneranno a casa. Questo si chiama abbaglio da rendita parassitaria. Ormai ho l’età per non illudermi.
dM: E che ci vuoi fare con il Pd? La sua classe dirigente è così distante da noi… Proprio qui a Napoli in questi giorni è esploso il caso delle candidature sottoscritte a insaputa dei candidati. Cose dell’altro mondo.
Prima di salutarci date un consiglio a Virginia Raggi.
C: Mi dimetterei per cercare il riscatto. Ammetto che è un consiglio interessato, ma insomma ogni giorno è una legnata. Se credi di non meritarle devi pure dire: basta!
dM: Mi ha fatto molto impressione una sua dichiarazione nella quale giustificava la scelta di Marra in quanto l’unico che potesse darle le chiavi dei segreti del Campidoglio. No Virginia, devi trovare altre forme per governare quel caos. Io resisterei ancora un altro po’ ma poi, se mi vedessi perso nel labirinto romano, beh allora ciao ciao…
da: Il Fatto Quotidiano, 13 febbraio 2017