La mia Sanremo… Vecchi inglesi, granduchi russi, gente eccentrica e cosmopolita. (Italo Calvino)
Aristocratica per via del suo nobile passato ma con tratti contemporanei da super cafona, Sanremo in questi giorni è il centro dell’Italia e del nostro Paese e giustamente testimone e specchio. Città doppia. Sta a nord ma è molto meridionale, ricca ereditiera ma attraversata da parecchi disonesti e sanguisughe, linda eppure sporca nell’anima. Vittorio Coletti è ligure, accademico della Crusca, linguista di valore ha firmato con Francesco Sabatini il dizionario della lingua italiana. Vive a Imperia che è la sorellina povera e sfigata di Sanremo. “A Sanremo c’era la libreria che non trovavo nella mia città, il cinema con i film che non riuscivo a vedere sotto casa. Il teatro, le rassegne letterarie al Casinò. Sanremo per noi gente di Ponente è stata la capitale della ricchezza e della cultura”.
Un passato da grandeur.
Alfredo Nobel aveva lì la villa, e Italo Calvino con villa Meridiana, e la grande e colta comunità russa. Non c’era partita e non avevi alternative: se non volevi andare a Genova ti toccava Sanremo per i tuoi pomeriggi felici e impegnati.
La città dei fiori. C’è qualcosa di più immacolato di un fiore?
Quando il mercato tirava, quando la globalizzazione non aveva fatto chiudere le serre e inguaiato l’industria del territorio, ogni quindici giorni partiva il treno carico di fiori. Esportavamo ovunque il nostro profumo.
E c’era il Casinò.
Un’altra industria benefattrice. Sa che per statuto una parte dei ricavi veniva destinata alla prefettura di Imperia che poi li distribuiva a tutti i poveri comuni dell’interno? Mio padre era vicesindaco di uno di quei paesini e attendeva che Sanremo staccasse l’assegno per provvedere a riparare qualche buca per strada.
San Remo, appunto. Città santa e generosa… Usa giustamente l’imperfetto, oggi non è più così.
Oggi no. Ma voglio ancora restare per un momento a ieri: il Casinò organizzava dei formidabili martedì letterari. Erano incontri di alto livello. Poi col tempo…
Col tempo tutto si è guastato.
Il Festival della canzone è l’unica industria che ancora regge. Porta soldi e si aspetta febbraio per dare fiato alle trombe. Ma anche qua tenga presente che a parte i diretti interessati, cioè albergatori e ristoratori, ai sanremesi non è che il Festival faccia impazzire. C’è più disinteresse di quel che appare. La manipolazione televisiva, che inquadra naturalmente i soliti colorati cento metri quadrati antistanti l’Ariston, il teatro della canzone, nega all’Italia la verità esatta, la cornice abulica dentro la quale la scintillante settimana canora si svolge.
Pensi che noialtri credevamo ancora che fosse la città dei fiori.
Il cimitero delle serre colpisce al cuore. Troppe sono chiuse per via di un mercato selvaggio che ha spostato l’asse della produzione altrove.
E i cravattoni che giungono al Casinò a spendere soldi dall’origine incerta?
Non sono tutti Calvino. Molti ceffi brutti, purtroppo.
Ori al collo, pellicce al vento.
Traghettatori di strozzini a volte. La città è stata infiltrata dal fiume di danaro che si dirige inesorabilmente verso il gioco. E nel ventennio berlusconiano l’amministrazione comunale è stata gestita da gente non propriamente affidabile.
Sanremo è perfetta allora per raccontare l’Italia. È l’uno e il suo opposto.
Bianca e nera, pulita e sporca, grande catalizzatore di personalità di valore e di ceffi dal passato dubbio.
Elegante e cafona.
I tratti cafoneschi nel tempo sono lievitati anche se l’attuale sindaco si sta dando un gran daffare per cercare di ripulirla un po’.
Sanremo è grassa come una donnona di Botero.
Pingue e ricca, sicuramente di più delle cittadine che le stanno intorno. Dall’edilizia ha la prova del differenziale con la comunità circostante allungandosi appena un po’: già ad Arma di Taggia le case mutano dimensioni ed aspetto.
Ha perso la gara con Nizza.
Il tempo non le ha portato fortuna e non ha saputo competere con i francesi. Ambiva ad essere meta turistica e culturale, ora si ritrova con un Casinò un po’ azzoppato.
Ma col Festival.
Per noialtri snob è stato sempre Sanscemo.
da: Il Fatto quotidiano, 11 febbraio 2017