Che fa un terremotato tutto il giorno? Non ha un lavoro, non ha più un letto ma una branda, non il bagno né il tetto. “L’unico rito quotidiano è la mensa. L’unico luogo in cui resiste la comunità è il tavolo della mensa. L’unico momento per parlare o sparlare resta quello. In fila a ricevere il pasto di mezzogiorno, seduti ad attendere la cena”, dice Roberto. Lui no, giocava a calcio e conserva il fisico sportivo. “Io ce la faccio a resistere, a non pensarci sempre, a tentare di cambiare vita e guardare in faccia alla realtà. A ottobre dissi a mia moglie Marina che forse saremmo dovuti andare anche noi via da qui. Ci mettemmo a cercare, a prendere in mano la cartina geografica. Un posto vicino ad Amatrice ma lontano dal terremoto. Vicino ai nostri monti ma al sicuro. Facemmo un giro a Norcia, poi a Cascia. Sette giorni dopo successe la fine del mondo e noi siamo ancora qui in roulotte, ma noi ci salviamo, qualcosa mi invento, così non resto. Qui l’aria è brutta, non mi piace”.
AMATRICE da capitale del dolore sta divenendo centro di smistamento delle polemiche, area di parcheggio delle malelingue e, purtroppo, anche località eletta dalla liturgia dell’arraffo. Pensate solo alla “robba”, vi interessa solo il vostro destino e non quello della comunità. Basta con gli “arraffa”, basta con la “robba”. Così il 29 gennaio il sindaco Sergio Pirozzi ha aperto la crisi dell’onestà e della solidarietà nel suo Comune. Ai microfoni di radio Amatrice che trasmette (“ce pare radio Londra”, sorride un avventore all’unico bar in esercizio) ogni sera un suo pensiero, è sbottato. Ha detto basta e poi basta, così non gli piace. E il sindaco della felpa si è autosospeso: “Tre giorni per pensare, anch’io voglio prendermi un po’ di relax”.
La crisi è poi rientrata, i giorni del “lutto”, come li ha chiamati, sono terminati ma resta la questione. Non capita spesso che un sindaco liberi i cattivi pensieri nei confronti del suo popolo. Pirozzi l’ha fatto ed è già una notizia. Di chi è la colpa? Tua, caro elettore. Pirozzi forse avrà anche reagito con quelle parole ad azioni o supposizioni, suggestioni o già certezze che circolano sul suo conto: “Sarà candidato ed eletto al Parlamento, ha già la testa a Roma”, giura Giulio, studente universitario fuori corso. Plausibile. Del resto l’uomo ha personalità, sa tenere testa in tv, chiama per nome il presidente del Consiglio, indossa la felpa come fosse la bandiera italiana, bacia, abbraccia, invoca alla fratellanza permanente. Dice: “Io non mollo”, oppure: “Guai ai vinti”. Viene da destra, vicino ad Alemanno (prima Forza Italia, forse anche Udeur) ma guarda a sinistra, a Matteo Renzi garba un sacco: “Mister Pirozzi ha ragione”, ha detto il segretario del Pd qualche settimana fa. Quando Sergio ha polemizzato con Di Maio e i Cinque stelle che hanno sostenuto la protesta di piazza romana della settimana scorsa. I terremotati a Roma. Tutti presenti, tranne Pirozzi, il sindaco dei terremotati.
A MENSA di questo si parla. Si parla e si mangia. Il primo effetto collaterale del terremoto ad Amatrice è infatti l’obesità. Obesi per necessità, grassi per avvilimento, immobilità o astenia. I medici locali sono allarmati. Ma se la pinguedine di massa è il risultato d i questi primi cinque mesi disperati, la catastrofe ha portato con sé altri doni avvelenati. Sono nate mille associazioni, mille conti bancari, iban, movimenti, club, opere pie. I morti, le centinaia di morti che hanno avvilito l’Italia, si sono via via trasformati per i superstiti in “ganci” per parlare al cuore dei connazionali e, purtroppo, anche per riscuotere. La questione si è fatta seria quando si è giunti al portafogli. “Alcuni di noi hanno racimolato soldi ovunque, tanti danari da vivere cinque generazioni. I soldi sulla pelle dei propri morti”, sospetta una signora.
In effetti la comunità ha organizzato, via via che passava il tempo e le case non si vedevano, le scosse continuavano, i problemi resistevano, un sistema di pubbliche relazioni piuttosto atomizzato e caotico. E nel traffico di donazioni da parte di singoli benefattori anonimi, qualcosa è affluito in qualche mano di troppo. La “robba” come dice Pirozzi è giunta ad alcuni più che di altri. Si è formato un canale parallelo degli aiuti e una parte di Amatrice, purtroppo, non ha saputo resistere all’“arraffa”. Una parte dei suoi abitanti ha chiesto e ottenuto. E via via che passava il tempo l’accumulo di soldi, o di altri beni materiali (un frigorifero, due, poi un lavasciuga poi un altro) hanno invelenito un clima già disperato. Maria Pia, pensionata da poco: “Ognuno crede di avere più diritti degli altri”. Rita, ottantenne: “Se non c’è altro da fare, allora ciascuno s’industria per sé. E arraffa”.
Da: Il Fatto Quotidiano, 6 febbraio 2016