Diciamoci la verità: ci siamo accorti della neve che sommergeva i paesi dell’Appennino solo perché il terremoto ha fatto sobbalzare Roma. Senza quel trittico di scosse l’allerta sarebbe suonata ancora più tardi per quella che sarà ricordata come la più sgangherata, confusa e ritardataria azione di soccorso della storia per il resto specchiata della nostra Protezione civile.
L’allerta meteo
Riavvolgiamo il nastro degli allarmi. È dal 2 gennaio che i servizi meteo annunciano crisi “glaciali”, cadute “siberiane” della temperatura lungo la costa adriatica e sul versante appenninico. Con sempre maggiore enfasi la portata dell’evento viene curata nei dettagli, aggiornando quotidianamente i centimetri di neve che cadranno.
Infatti la neve cade, e soprattutto imbianca fino a coprirlo del tutto il quadrilatero terremotato che trova Amatrice all’angolo ovest, Vasto sulla costa sud che a nord arriva fino a Civitanova e chiude all’interno verso Camerino e oltre, fin quasi a Foligno.
Pochi spazzaneve
È il terreno d’azione del Dicomac di stanza a Rieti, la direzione del comando operativo della Protezione civile e del gruppo interforze. Sapevano tutto tutti. Sapevano, per esempio, che la neve che avrebbe colpito l’Italia centrale avrebbe lasciato indenne le Alpi, sapevano che i bruchi e le turbine, i grandi rotori mangia- neve, e i gruppi del soccorso alpino, i più allenati a fronteggiare questo tipo di emergenze, stazionano a molti chilometri dall’area di crisi. Tutti poi conoscevano un’altra verità: la popolazione residente è spesso confinata in piccole frazioni che col bel tempo sono difficili da raggiungere figurarsi col maltempo! Si sa per certo che due turbine, presumiamo le uniche due in funzione già dal’11 gennaio, sono poste sulla Salaria, la trasversale d’Italia. Il resto è out.
500mila senza corrente
I soccorsi non si attivano quando la statale 80 – una delle principali vie di fuga di montagna – è impraticabile, non si attivano quando dal Maceratese giungono le prime richieste d’aiuto e si allertano, ma timidamente, solo quando in Abruzzo, su una popolazione di un milione e 260 mila abitanti, circa 500 mila restano senza energia elettrica! Si ghiacciano le centraline Enel e va in tilt anche la catena di Terna: 200 mila utenze disalimentate. Un’enormità che produce una vera e propria crisi umanitaria perché si abbatte su paesi squassati dal terremoto, con case pericolanti e ancora troppe soluzioni di fortuna. Ieri sera ancora 80 mila erano senza corrente.
Le casette non ci sono
Ad agosto, quando la prima grande scossa atterra Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto, i paesi delle tre A, il governo immagina una soluzione ultra chic fidando sul numero ristretto degli abitanti. Niente tende né container: solo casette monofamiliari. Costeranno 1.075 euro a metro quadro oltre Iva (circa 300 euro in più dei valori delle opere in muratura fissati dal Genio civile di Rieti) e consumeranno molto suolo che in territorio montano significa un costo ulteriore per il tempo che si perderà con gli sbancamenti.
“A dicembre avrete le case”, promette Matteo Renzi. La ricostruzione show, quella che doveva far luccicare gli occhi per la speditezza e la qualità dei soccorsi, impatta con la natura che a ottobre dimostra quel che non si immaginava: un nuovo e terribile terremoto sconquassa l’Umbria e raggiunge le Marche: da Norcia fino a Camerino. Il disastro triplica, i soldi da spendere quadruplicano, le azioni di assistenza si allargano a dismisura. E la Protezione civile, che immaginava un teatro ridotto, fa i conti con la propria imprudenza. Il no ai container per Amatrice diviene un precipitoso sì per tutti. Le tende che incredibilmente sono state portate via da Norcia sono riportate in città a furor di popolo.
Economia animale
Si ingiunge il trasferimento verso la costa ma non si valuta che l’economia trainante del territorio è l’allevamento di bestiame e la trasformazione alimentare. Le vacche non possono andare a San Benedetto del Tronto e Norcia ha i maiali da macellare per continuare a campare e a vendere il suo prosciutto. L’ampiezza del disastro crea così il primo cortocircuito: negati agli allevatori i permessi di costruire autonomamente ambienti anche provvisori di ricovero, ma le stalle governative tardano ad arrivare. E così le casette super chic, e anche i container. È gennaio e ad Amatrice sono pronti 25 moduli. Venticinque.
47 mila scosse
Vero, il programma di recupero incontra difficoltà mai viste. Fino a oggi si contano 47 mila scosse e i sismologi non hanno un raffronto possibile, è tutto così drammaticamente nuovo. Ma se il terremoto è imprevedibile la sorpresa diviene ingiustificabile quando gli eventi sono attesi. Come appunto è la grande nevicata. Che si trasforma in emergenza solo perché la terra trema anzi, a dirla tutta, solo perché è Roma a tremare e finalmente a voltare lo sguardo là dove aveva smesso di tenerlo. Infatti i giornali inviano i loro cronisti “nei luoghi del terremoto”. È il lessico del grande fraintendimento. Quelli sono invece i luoghi della neve e del ghiaccio, delle decine di sindaci che da giorni chiedevano aiuto senza ottenerlo. Le ultime turbine sono giunte ieri quando il sole è tornato a splendere e ad aprire il nuovo fronte: la neve si scioglierà presto e tutta quell’acqua dove finisce?
Da: Il Fatto Quotidiano, 20 gennaio 2017
Caro Antonello, come non essere d’accordo. La protezione civile funzionava quando era un organo tecnico nazionale. Dopo hanno regionalizzato e nelle prot regionali di alcune regioni sono intervenuti i politici mettondo gente incapace e senza alcuna preparazione. Dove abitavano le persone che necessitano di dialisi o di.bombole do ossigeno le asl lo sanno. Bastava chiederglielo prima. I sindaci sanno se e quali situazioni di maggiore criticità vi sono nel loro comune. Basta chiederglielo prima e soprattutto ascoltarli. Ti scrivo da Teramo e sono.con la luce ma senza acqua calda e riscaldamento perché la tensione della corrente è a 110 e la calr va in blocco! Hanno distrutto tutto e D’Alfonso pensa al masterplam e a fare una.funivia a Teramo#!