“Posso farle io una domanda? Lei come vede il futuro?”.
Nero come la pece. Siamo sbandati, gattini ciechi.
“Ecco, la vediamo uguale”. Luca Paolazzi è un analista coi fiocchi. Ha 58 anni e un passato da giornalista. Scriveva sul Sole 24 Ore. La casa madre, cioè Confindustria, lo cooptò e gli diede il compito di dirigere l’ufficio studi, un prestigioso club di economisti, autorevole, indipendente, pignolo. Tutto è filato liscio, cioè le previsioni erano solo previsioni. Accurate, linde, illustrate bene. Forbici, forchette, diagrammi, diagonali. Ogni cosa al posto giusto. Poi nell’autunno di quest’anno la sbandata. Complice il referendum, forse l’ansia di prestazione, la voglia di fare una bella figura, Luca e i suoi colleghi iniziano a erigere per il dopo voto un quadro del disastro che avrebbe comportato la vittoria del No. Via via che scrivono s’accorgono che il male avrebbe incaprettato l’Italia. Facendosi un po’ prendere la mano la crepa si fa voragine, poi frana e diluvio. In due parole: col No anche gli Appennini sarebbero finiti nell’Adriatico e tutti noi con le chiappe a mollo spiaggiati sulle coste albanesi.
Paolazzi, che algoritmo avete usato?
Abbiamo previsto uno scenario che si sarebbe potuto avverare.
430 mila nuovi poveri.
Tenga conto che al momento in cui scrivevamo, la legge di Bilancio non era stata ancora approvata, il premier minacciava di dimettersi.
Quattro punti di Pil mangiati dal populismo. Zagrebelsky come Attila.
Lo scenario era quello. Caos. Diamine, ricorda cosa diceva Renzi?
Choc.
Effetto choc. Crisi di governo, maggioranza sfaldata. Istituzioni in confusione. Stallo.
Sfiducia degli investitori.
Paura dei consumatori.
258 mila nuovi disoccupati.
Col senno del poi è facile sorriderne.
Paolazzi l’ultrarenziano.
A me nemmeno era simpatico si figuri.
Lei è un menagramo.
Tutte le previsioni congiunturali di natura politica coincidevano.
Dottor Apocalisse.
Lei mi descrive così?
Un tantinello apocalittico.
Convengo, un po’ apocalittico lo sono stato.
Tocchiamo ferro.
Posso convenire che lo scenario non si è poi verificato.
In effetti ci hanno impiegato due giorni a fare il governo. E i ministri non sono scappati in montagna, anzi…
In effetti è così.
Mannaggia, brutta botta, ora nessuno vi crederà più.
Abbiamo sempre fatto il nostro dovere e garantito l’imparzialità del nostro lavoro.
Venti per cento in meno gli investimenti che il No avrebbe fatto ardere sul fuoco della conservazione.
Ma lei ha letto il documento per intero?
È bastato l’assaggio.
Vede?
Un totale di 600 mila posti di lavoro in meno.
Ricordo di nuovo che al tempo di queste previsioni si pensava che la crisi avvenisse senza neanche la legge di Bilancio approvata.
Mister Menagramo.
Riconduciamo al contesto di allora i ragionamenti per favore. Non siamo governativi.
Rido.
Guardi che Berlusconi, al tempo in cui fu presidente del Consiglio, ci chiamava gufi.
Berlusconi.
E quel che facemmo a Tremonti? Scrivemmo cose che non gradì.
Con Renzi vi siete entusiasmati.
L’errore di prospettiva politica c’è.
Paolazzi, ufficio disastri.
Siamo stati convintamente a favore delle riforme.
Così tanto che siete stati scambiati per ultras.
Il presidente di Confindustria di fronte al risultato referendario ha espresso rispetto. Quindi…
Quindi hanno lasciato a lei il cerino acceso in mano.
Mah, quel lavoro è stato fatto in un contesto. Ricorda il contesto?
Paolazzi, l’apocalittico di Confindustria.
Apocalittico ci sta.
Buongiorno.
E comunque nel prossimo futuro saremo tutti più poveri.
Da: Il Fatto Quotidiano, 14 dicembre 2016