L’antipatia è come una casa: si costruisce giorno per giorno, mattone su mattone. Matteo Renzi ha impiegato due anni per divenire antipatico e ci è riuscito. Avrebbe potuto far meglio? Nel senso di essere più simpatico, alla mano, prudente, modesto, sobrio? E se avesse fatto meglio sarebbe riuscito a raccogliere più voti, più sorrisi, più battimani? “Il potere è sempre antipatico, è quoziente ineliminabile della funzione, è linea indelebile, segno che qualcuno sta sopra di noi e ci comanda e per ciò stesso – ricorda Marco Belpoliti, geografo del corpo del potente, indagatore del sopracciò – ci sta sulle scatole. Ma proprio la sua spavalderia è stata mezzo di trasporto verso l’alto soglio. La furbizia, la scaltrezza l’hanno reso popolare, e i cortigiani hanno baciato la sua mano proprio in ragione del vasto encomio pubblico. L’adulazione di cui è stato oggetto ha la medesima radice. Egli ha guadagnato fama per il talento che ha dimostrato, ma anche per i tratti salienti del suo carattere: la velocità con la quale ha preso posizione, la disinibizione nei giudizi, la capacità di spiazzare, la sapienza nell’utilizzare la battuta fulminea e tagliente. E poi quel sarcasmo, quell’aggressività lessicale. All’opposto, come uno specchio rovesciato, il quoziente di antipatia saliva e saliva e saliva. Relazione funzionale al potere conquistato, all’adulazione e al consenso ottenuto”.
NON SAPPIAMO in che modo possa tornare il nostro Matteo ad essere simpatico, come chiedeva Oscar Farinetti, il re del sorriso commercializzabile all’ultima Leopolda. Magari togliendo di mezzo l’aereo di Stato fino a limare i dettagli, riducendo anche i selfie? E sarebbe bastato? Magari c’era da fare un buco anche nella scorta della polizia, il cordone che lo isolava e a volte lo difendeva a suon di manganellate, dai disturbatori di ogni genere e colore politico. “La mia scorta è la gente”, aveva detto all’esordio. E si è visto. Come la bici. Ha pedalato cinque minuti e poi via con le auto blu. Restano sul campo alcune domande secondarie inevase: andare da Barbara D’Urso fa simpatia o antipatia? Vestire da Fonzie è una figata o una stronzata? E le slide? Parlare al Paese riducendo a slogan le leggi fa capire o incupìre? Insomma: troppo bravo o troppo furbo? La proposta di Farinetti di ritornare ad essere simpatico è comunque bocciata da Belpoliti. “Si tratta di una banalizzazione della questione. Antipatico è perché potente. E col potente noi cittadini utilizziamo prima del giudizio il pregiudizio. Abbiamo bisogno di trovare una ragione ai nostri pregiudizi: l’antipatia è perfetta”.
CERTO ANCHE Amintore Fanfani fu antipaticissimo. E del sorriso di Aldo Moro non c’è traccia nell’album fotografico della Repubblica. Simpatico non lo mai è stato Romano Prodi, brontolone e vendicativo, non lo è Massimo D’Alema, signor “Come si permette?”. Simpatico non fu Enrico Berlinguer, riservato al punto da apparire inavvicinabile eppure amatissimo. Ma lui, il nostro Matteo Renzi, sembra superare la soglia del rischio e scalare tutte le hit parade: il più antipatico è di certo lui, il più odiato sembra sempre lui. Perfino di più che Silvio Berlusconi, barzellettiere strutturale, professionista del sorriso. “Renzi è dotato di una spavalderia infantile che usa senza moderazione. L’antipatia per lui è così divenuta secrezione naturale del corpo prima che sentimento collettivo. È quasi una postura, e il suo modo di essere, di parlare, di apparire. Poi è più antipatico degli altri perché è un solitario al potere, non spartisce e lo dice, non gradisce e lo dice. “Sono cattivo, arrogante e impulsivo”, ricorda cosa disse di se stesso? Tiene dentro le sue mani il bottino, e esibisce tranquillamente sia le mani che il bottino. Perfetto per aggiungere sale sull’antipatia e far salire il livello della diffidenza”, statuisce Marino Niola, antropologo dei più attenti.
HANNO PERFINO detto che Renzi è un odiatore seriale. Forse è troppo, ma certo possiamo condividere la tesi di battagliare ogni giorno contro qualcuno come gesto galvanizzante. Lui cerca l’avversario, se lo procura o addirittura lo costruisce con passione e tenacia. Com’è stato il referendum. Uno contro tutti. Mesi e mesi. Lui solo, lui ovunque. Di sopra, di sotto, nell’angolo di ogni televisore, di ogni sala da pranzo. Cosicché, stremati, siamo andati nell’urna per scacciare un incubo più che condividere un rifiuto. “Eppure – aggiunge Niola – anche questa sconfitta è temporanea. Nelle sue mani ha quasi il 40 per cento dei Sì. Intestati a lui, lui soltanto. In ogni caso lo ritroveremo in campo”. Mister Antipatia è in camerino e attende un fischio per rientrare sul palco.
Da: Il Fatto Quotidiano, 7 dicembre 2016