Il verso d’un tratto paurosamente cambiato. Le cifre anzitutto. Ad agosto erano tremila gli sfollati, oggi sono almeno trentamila i senza casa e la curva è destinata a salire fino purtroppo a doppiarsi. Erano tre i Comuni rasi al suolo, quelli delle tre A (Accumoli, Arquata e Amatrice), oggi ne sono almeno trenta. C’era da assistere gli abitanti di un grumo di montagne interne e orgogliose, ma povere di reddito e di braccia; oggi è colpita una rete estesa e pregiata di case e palazzi, chiese e monumenti, attività artigianali e industriali. Il terremoto non è triplicato, è lievitato almeno di cinque volte tanto quanto la differente energia tra i 6 gradi Richter della scorsa estate e i 6,5 di questo caldo finale d’ottobre.
Ma le scosse hanno prodotto una crepa anche nell’armatura del sistema della Protezione civile che ha lesionato, irradiandosi, la macchina della ricostruzione affidata a Vasco Errani.
I FATTI. Un’ora dopo che il Mostro si è manifestato con una cattiveria senza pari, a Norcia –proprio lì –le tende mancavano. Quelle poche acquartierate nelle settimane della paura erano state inspiegabilmente ritirate. Ritirate, perché? Non una, ma innumerevoli volte i sismologi hanno avvertito non più tardi di qualche giorno fa che si era in presenza di una nuova faglia il cui movimento faceva presagire nulla di buono. Prima domanda: la Protezione civile ascolta le valutazioni dell’Ingv? E così al dramma di dover tutelare e assistere altre migliaia di persone, l’incredibile situazione di vedere l’epicentro della tragedia sprovvisto del sistema minimo di protezione: le tende, appunto.
A L’Aquila, che per clima e altitudine è agli stessi livelli di queste terre, delle tende si è perfino abusato, qui invece è stata decisa una privazione inspiegabile, ripetutamente confermata durante tutto il primo giorno da Fabrizio Curcio, il direttore della Protezione civile e condivisa, chissà perché, dai presidenti di Umbria e Marche e dai sindaci. Comando errato, scelta incongrua, esito infausto. Ci sono volute le proteste di chi, com’era prevedibile, non voleva lasciare la sua terra per far rientrare almeno parzialmente questa decisione.
MA SE TRASPORTARE e issare le tende è questione relativamente semplice e rapida, assicurare una sistemazione provvisoria dignitosa, come i container, è ora impossibile. La Protezione civile non possiede nelle sue aree di sosta che fino a qualche tempo fa erano sistemate lungo le maggiori direttrici stradali del Paese né container né camper. Incredibile ma vero. La gara d’appalto esperita dalla Consip è del 24 agosto (il giorno del terremoto di Amatrice, sic!) e dunque dovremo attendere dicembre, se tutto andrà nel migliore dei modi, per avere i primi sistemi abitativi. Tutta la letteratura specializzata insiste nel dire che chi è senza casa deve essere ospitato in condizioni sufficientemente degne, ma sufficientemente precarie per fare in modo che spinga da protagonista per una ricostruzione veloce e partecipata.
Tutta l’esperienza degli altri eventi sismici che hanno colpito luoghi di montagna (dal Friuli all’Irpinia) ha dimostrato il fallimento della delocalizzazione verso la costa. Bastava chiedere a Giuseppe Zamberletti, il padre della Protezione civile, per conoscere una realtà italiana consolidata. Invece qui il cambio-verso: tutti negli alberghi, tutti sulla costa. Ogni sfollato costerà almeno 30 euro al giorno, almeno 1.200 euro al mese. Ce ne vorranno più di 4.000 per una famiglia di quattro persone. Tre mesi di hotel equivalgono al costo medio di un container (circa 12 mila euro).
La scelta di bypassare le tendopoli, l’ha spiegato Curcio, serviva ad attrezzare al meglio e in un periodo relativamente breve le casette provvisorie. Decisione compatibile con i numeri di Amatrice ma già irrealizzabile, almeno nell’arco temporale stimato, quando le necessità si fanno molto come adesso più grandi. E soprattutto una scelta assai onerosa: una casetta costa 1.200 euro al metro quadrato (al netto degli oneri di urbanizzazione), 300 in più (dati dell’agenzia del territorio) di una villa in muratura nella provincia di Rieti. E qui discende una ulteriore e assai discutibile scelta: quella di finanziare totalmente sia la prima che la seconda casa. Una novità assoluta e costosissima, naturalmente mai praticata prima. Un abito cucito su misura per un terremoto, quello del 24 agosto, piccolo nelle dimensioni, che adesso andrà strettissimo perché è certo che si dovrà garantire a tutti gli umbri e marchigiani neo terremotati ciò che si è dato ai laziali.
E CON QUALI SOLDI? Abbiamo a disposizione solo una slide, al tempo in cui compare alle spalle di Matteo Renzi che annuncia il decreto per la ricostruzione di Amatrice: 4 miliardi e mezzo. Cifra piuttosto abbondante per quell’evento, tanto da far dire a Vasco Errani che per la prima volta il finanziamento copre da subito le spese provvisorie e quelle definitive, le case e le imprese, la cultura e le chiese. Cifra però non esattamente uguale a quella che il governo italiano avanza all’Unione europea: 3,4 miliardi a titolo di spesa emergenziale per il 2017. Ma è altrettanto certo che gli stanziamenti diretti verso quelle aree terremotate e messi nella manovra, naturalmente prima di queste ultime e disastrose scosse, ammontano a 536 milioni di euro di cui 226 per il 2016. A questi soldi va aggiunto un miliardo di euro per il consolidamento delle scuole e delle strutture pubbliche, somma però frazionata in quattro anni. Aggiungendo ancora i 40 milioni di ieri sera (e gli altri 40 della settimana scorsa) stanziati per la prima emergenza il tetto delle risorse destinate alla ricostruzione è comunque ampiamente al di sotto, almeno all’apparenza, della metà dei soldi che l’Italia si era impegnata a spendere per i terremotati solo nell’anno 2017.
E dunque?
Da: Il Fatto Quotidiano, 1° novembre 2016