Sette piani all’apparenza ma tre all’occorrenza! Il più grande processo sull’effetto ottico si è svolto nei mesi scorsi alla Corte d’appello di Bari il cui giudice, stimando e ristimando la base per l’altezza, ha convenuto che un palazzo, originariamente valutato dal suo collega di primo grado di sette piani fosse solo di tre. La sentenza, che assolve la proprietà precedentemente condannata, si fonda sull’esito della perizia di parte che ha ricalcolato, in ragione del pendio dentro il quale è scavato l’immobile, la sua altezza.
La legge del pendio, o la norma sul pendio, sulla parete apparente o in ritiro, è una delle più fortunate esperienze legali di Francesco Paolo Sisto, deputato di Forza Italia ma avvocato di splendida e indubitabile fama a Bari che ha visto assolvere il suo rappresentato.
SIAMO a Sant’Agata di Puglia, paese della Daunia noto per il suo vento e infatti ai suoi fianchi, sorgendo su una collina, centinaia di pale eoliche gli tengono compagnia permettendogli, se solo lo chiedesse, di prendere il volo. Bene. Nel 2002 viene concesso un permesso di costruire lungo il costone che scende a valle. Un massimo di dieci metri e ottanta centimetri di altezza e non più di tre piani di felicità per il costruttore e per chi abiterà quel meraviglioso edificio. Le betoniere vanno un po’ a rilento, il permesso scade (tre anni è il tempo dato dalle leggi) ma soprattutto l’Autorità di Bacino individua nel sito prescelto un’area a pericolosità elevata dal punto di vista idrogeologico. Piogge e poi frane, l’incubo del nostro tempo. Indica l’area rossa, dove le costruzioni devono essere mitigate e soprattutto autorizzate da un permesso speciale. Il vincolo c’è ma chi lo rispetta? Le betoniere, anche se lentamente, fanno il proprio lavoro e il costruttore, giacché si trova, avanza con due distinte Dia il permesso a enfatizzare la sua costruzione. Gli ambientalisti lo chiamano subito “ecomostro”, il giudice di primo grado si limita a ritenerlo un’opera “monumentale”. Gli appartamenti vengono realizzati e anche le altezze si espandono. I piani divengono quattro e poi cinque e poi sei e infine sette.
La consigliera comunale d’opposizione Giuseppina Caputo sporge denuncia ed ecco il processo. A Foggia davanti al magistrato i periti dell’accusa contano e ricontano e alla fine della misura danno l’esito: il palazzo è alto trenta metri, se consideriamo la terra dove appoggia e il tetto in cui termina. Il piano regolatore permette la costruzione di manufatti che non superino i dieci metri e ottanta centimetri. La differenza c’è e si vede. Si convince anche il giudice di primo grado e infatti c’è la condanna. Il costruttore non ci sta e ricorre in appello. La difesa, e qui sta la grandiosa opera del deputato-avvocato Sisto, chiede che venga rimessa in discussione anche la perizia che ha prodotto la condanna. La perizia, anzi son due, recano la firma di altrettanti docenti di ingegneria. Ci si affida a un terzo ingegnere, non con il curriculum pregiato dei suoi precedenti verificatori, ma comunque in grado di far fronte alla necessità. E qui entra in gioco il pendio, qui il palazzo, o ecomostro, diviene ad altezza variabile, qui i piani, contati e ricontati, da sette scendono nei fatti a tre. La legge del pendio e della parete in ritiro è la teoria sulla quale misura il proprio talento l’ingegner Giuseppe Gorgoglione. Vale la pena rileggere un passaggio della sua deposizione: “Dunque, vediamo un po’. Quando noi abbiamo un edificio che è costruito in condizioni normali, noi abbiamo delle quote di riferimento e ci atteniamo a questa sistemazione, progettiamo e diamo un’altezza ai quattro fronti dell’edificio (…). Nel caso in specie ci troviamo un pendio molto scosceso e non abbiamo la strada a valle, abbiamo la strada a monte e l’edificio è incassato anche rispetto alla strada a monte. Quindi a questo punto io non trovo di meglio che classificare tutte le pareti parallele alla strada come pareti che non essendo visibili siano da considerare in ritiro (…)”.
La parete in ritiro, lo dice la parola stessa, si ritira, quindi comprensibilmente si accorcia, si riduce, si restringe al punto che i piani pienamente effettivi siano solo tre secondo il perito. Gli altri al massimo degli interrati. E qui uno scambio di battute imperdibile con il perito di parte civile: ma se ci sono finestre e porte, balconi, terrazze! Ma sono dentro il pendio, con le spalle al costone, invisibili. Dunque almeno tre dei sette piani erano fuori uso, non conteggiabili, presenze virtuali, volumi vuoti. Il quarto, posto alla sommità dell’edificio, diciamo l’attico, sarà invece di uso pubblico, e perciò andrà scomputato dalla restante parte residenziale.
Sette piani all’apparenza, ma tre all’occorrenza.
E così il processo d’appello sull’effetto ottico si è concluso. Aspettiamo le motivazioni.
Da: Il Fatto Quotidiano, 29 ottobre 2016