Fascicolo D’Alema. È il tempo della “rabbia e dell’odio” e il mondo renziano, montando l’ansia per l’esito incerto del referendum, colpisce il principale nemico interno del No con le mani rudi del più fisico tra i suoi rappresentanti. Poltroncina in faccia. Ma anche l’embargo economico alla Fondazione Italianieuropei, la struttura organizzata della quale D’Alema è presidente.
Iniziamo dalla poltroncina. Ieri nella battaglia campale anti-dalemiana è comparso Luca Lotti, nome potente e silente. Come si sa Lotti non parla, bofonchia. Ieri invece ha azzannato D’Alema ricordandogli la furia cieca (infatti ha scritto “accecato”) con la quale l’ex segretario del partito ed ex presidente del Consiglio si scaglia contro il Sì, una ritorsione “per non aver ottenuto la sua poltroncina di consolazione”. Riferimento all’ufficio di commissario europeo delegato agli Affari esteri a cui D’Alema teneva così tanto che alla fine Renzi non ha concesso, preferendogli Federica Mogherini. Lotti, abituato come detto alle frasi brevissime, questa volta è comparso non in voce ma con un lungo e accurato scritto nel quale, senza un filo di sgrammaticatura (è purtroppo accaduto che parlando a braccio incorresse in devianze lessicali sia pure di modesta entità) gli ha illustrato i demeriti della propria azione politica. Gli impegni presi ma non evasi, le leggi annunciate e abbandonate, le riforme avanzate ma poi abortite. Su tutto è però, l’accusa più feroce: D’Alema è un ritorsivo e fa pagare al Pd il prezzo della sua mancata nomina. Per una “poltroncina” si fa “accecare” dall’odio.
L’ATTACCO così puntiglioso e plateale, di cui Lotti è esecutore e non mandante, si completa con un lavoro, sotterraneo, di moral suasion nei confronti dei finanziatori e sostenitori della Fondazione. La quale ha sempre avuto un enorme numero di amici e di imprese, molte di esse partecipate dallo Stato, molte altre proprio nelle mani del governo. Capitale economico necessario per permettere al think tank di liberare le energie intellettuali di cui dispone. Ventaglio veramente vasto dentro il quale, per dire, figurano anche le menti di Giulio Napolitano, figlio di Giorgio, e di Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia di Renzi. Mps, Enel, Unicredit, Rai, Aeroporti di Roma hanno scelto di vedere i loro loghi sulle pagine della rivista della Fondazione. E tanti amici, anche di opinioni politiche differenti, hanno sostenuto lo sforzo dalemiano di dare all’Italia una cultura europea. Angelucci e Merloni, Marchini e Guidi, Coop e Pirelli. Amici, amici e amici.
Da qualche tempo D’Alema s’accorge che la generosità si fa più fioca, come fosse candela al termine della sua vita, e sia gli inserzionisti che i sostenitori riducono la loro propensione al rischio e dunque all’investimento dalemiano. Le dipendenti, contrattualizzate a tempo pieno, si sono presto ritrovate davanti all’offerta di un part-time. La Fondazione è in bolletta e il presidente sospetta che ci sia lo zampino renziano. Di nemici il mondo è pieno e la politica ancor di più. Cosicché Matteo Renzi deve organizzare – magari con l’ausilio contabile di Lotti – i nuovi acquisti e compensarli con le improvvise perdite. Ieri il premier ha avuto una telefonata affettuosa con Matteo Richetti, deputato e fedelissimo della prima ora, lasciato però nella seconda al freddo e al gelo.
La riconciliazione, motivata con l’appuntamento referendario, compensa alcune defaillances, la più illustre sembra quella di Andrea Orlando, indispettito per il cattivo trattamento per la sua legge di riforma del codice penale e sulla via dell’astensione dal tifo renziano. Le cronache lo danno in avvicinamento a Bersani. Ma anche nel governo, secondo i rumors giunti fino all’Alta Corte, diversità di vedute significative. Il ministro Dario Franceschini avrebbe confidato la propria soddisfazione nell’eventuale bocciatura da parte della Corte costituzionale sull’Italicum. Di segno opposto la convinzione di Maria Elena Boschi espressa confidenzialmente a chi avrebbe dovuto decidere (decisione poi rinviata): né lei né Renzi hanno intenzione di toccare la legge elettorale.
Da: Il Fatto Quotidiano, 7 ottobre 2016