A Borgocerreto, prima dello stop, c’è lei che al finestrino spiega: “È tornato il Mostro”. È una donna di quarant’anni, gli occhi celesti e dolci e il viso tirato in un sorriso di plastica. Il Mostro è sotto i nostri piedi ed è sbucato dall’asfalto. Sono tagli orizzontali regolari, dritti, secchi come lame. Formano lungo la strada che conduce verso il versante laziale un piccolo gradino, uno ogni cento metri, a dare il senso che la terra si è gonfiata infine si è squarciata.
La crepa è lassù, sul Monte Vettore e per giungervi si dovrebbe passare dalle Forche Canapine, almeno così dicono, ma quaggiù il mostro ha inghiottito Norcia, le sue mura di cinta e soprattutto il suo simbolo: la Basilica di San Benedetto. Si vede il rosone, l’enorme magnifica parete che non custodisce nient’altro adesso. È come un dente cariato. San Benedetto è patrono d’Europa e oggi che Bruxelles sembra matrigna viene da interrogarsi. Tre suore sono in preghiera. La più giovane mi si fa vicino: “Il nostro monastero è integro, non vorremmo essere portate via, ci dicono che dobbiamo trasferirci. Vorremmo un prefabbricato all’interno delle nostre mura per testimoniare la nostra presenza con la preghiera. Abbiamo scelto di vivere a Norcia e per nulla al mondo vogliamo abbandonarla. Dice che ce lo permetteranno?”.
Norcia è sbarrata e un gruppo di vigili del fuoco si riunisce in conciliabolo. L’ora solare, che ha mandato un’ora indietro gli orologi, ha fatto sì che questi soccorritori, in tutto circa duecento nel versante umbro, non si trovassero sui campanili delle chiese a mettere ordine tra tegole e mura cadenti. Almeno questa fortuna. Oggi non si contano morti e la scossa, di una energia cinque volte più potente di quella che ha fatto divenire Amatrice un cimitero, ha mandato in ospedale soltanto venti persone, tre in codice giallo. Duemilanovecentodieci furono i corpi che l’Irpinia sotterrò trentasei anni fa con un sisma di poco superiore. È pur vero che Norcia in tre mesi è stata perseguitata quattro volte. Una botta dietro l’altra, e sempre di magnitudo elevata, oltre a uno sciame sismico di una intensità senza pari che l’ha obbligata ad uscire di casa da agosto e a non mettervi più piede.
NORCIA È DISTRUTTA ma viva, se le case non fossero state ricostruite al meglio dopo il terremoto del 1997 adesso – per coloro che ancora le abitavano – sarebbe stata una bara. E invece… “Passi di là, mi raccomando”. Il vigile urbano indica la strettoia che bisogna utilizzare per schivare la frana e prendere la strada verso il Monte Vettore, il luogo dove il Mostro è sbucato, il costone in cui la crepa scende perpendicolarmente e affianca, di lì a pochi chilometri in linea d’aria una seconda terribile linea orizzontale che taglia in due la parete dei Sibillini. Il Mostro ha deviato il corso del Nera che è esondato e ha invaso la carreggiata, sempre lui ha reso irraggiungibile Castelluccio, una delle frazioni di Norcia avvolta in una nube chiara, la polvere delle pietre macinate come fosse stata inghiottita da un mulino. “Ho ancora la bocca di sabbia”, dice il sindaco di Pieve Torina, più a nord. “Sono io e il maresciallo in un container di due metri e mezzo, nessuno che ci è venuto a soccorrere. Fate qualcosa, avvertire che abbiamo bisogno di soccorsi urgenti”. E il suo collega di Pieve Bovigliana: “Io non ce la faccio più, sono tre mesi che non dormiamo”. Il terremoto ha scucito l’Umbria dalle Marche, le campagne di Spoleto da quelle di Tolentino. Alla radio c’è il sindaco di Arquata: “Oggi volevamo far festa, nel senso che avevamo deciso di sentirci vivi e scendere al fiume per recuperare almeno il ricordo della nostra sagra delle castagne. Qui è terra di marroni buonissimi e pensavamo che malgrado il paese fosse già a terra dovessimo dar prova di vita. Ma ora come si fa? Ora è finito tutto, ma tutto davvero”.Continue reading